Dall’eredità coloniale agli enormi interessi economici in gioco, ecco perché la rivoluzione geopolitica in corso accelera la destrutturazione a mano armata dell’ordine precedente mentre non ne annuncia uno nuovo
Il termine «geopolitica» è oggi diffuso fino alla banalità . Lo si usa nei media come in accademia, ma corre anche nelle chiacchiere da bar. La sua sfera semantica è alquanto dilatata. Abbiamo così una geopolitica del calcio e una della cucina, per dire. Insomma, questa parola oggi è raramente usata con rigore. Va bene per qualsiasi discorso, quindi per nessuna funzione euristica, esplicativa.Non era così fino agli anni Novanta del Novecento, quando il termine era proscritto, soprattutto in Italia e in Germania, perché annesso (abusivamente) al fascismo e al nazismo. Quasi sinonimo di volontà espansionista, imperialista. Legato al bellicismo, incompatibile con i regimi liberal democratici. Imploso il sistema della Guerra fredda, ovvero della pace in Europa, sono saltati anche i freni inibitori. Non per questo il senso del lemma «geopolitica» è diventato chiaro e univoco. Anzi.
Il ruolo degli attori minori
Per chi come il sottoscritto per passione e professione tratta di geopolitica come analisi dei conflitti di potere in spazi e tempi determinati, dunque come strumento potenzialmente utile a sedare le guerre con le armi del dialogo e della diplomazia, emerge un paradosso: più studiamo le guerre di oggi più ci accorgiamo che sfuggono assai spesso alla regola classica che le vorrebbe mezzi volti a uno scopo. Guerre per una pace. Il clima del tempo tende a renderle invece fini a sé stesse. Dunque interminabili. Meglio: da non terminare. Perché? Tre ordini di ragioni.
La prima è che la grandissima maggioranza dei conflitti si svolge in territori già coloniali. Ovvero a debole se non inesistente tradizione statuale, in quanto a lungo governati da imperi esterni che solo di recente e mai completamente sono rientrati a casa. Le guerre africane e mediorientali – diverse dozzine, ormai se ne perde il conto – coinvolgono soggetti informali prima che statuali. Sono dispute intorno a spazi evacuati dagli imperi europei a partire dalla metà del Novecento. Le carte politiche che disegnano frontiere formali in quei territori mentono sapendo di mentire. Quei confini esistono sulla carta, raramente nella realtà . Corrispondono a partizioni coloniali che poco hanno a che vedere con Nazioni o altre comunità , capaci di istituire organizzazioni statuali sufficientemente riconosciute e stabili.
La seconda è che le massime potenze raramente si scontrano fra loro. L’ultima volta fu durante le due guerre mondiali che segnarono la fine del mondo eurocentrico. Oggi molto si parla di un futuro conflitto fra Cina e Stati Uniti intorno a Taiwan, tutt’altro che scontato. Quanto alla guerra di Ucraina, oltre a essere uno scontro fra un impero e una Nazione che vorrebbe emanciparsene, è anche un conflitto indiretto fra Russia e America, o meglio Paesi euroatlantici. Entrambi oggi interessati a uscirne il meno peggio possibile. E anche se in Germania e in Francia, oltre che nelle avanguardie antirusse del Nord e dell’Est Europa, molti danno per scontato il prossimo scontro diretto con la Russia, non ci siamo (ancora?). Il rovescio di questa medaglia è che i Grandi giocano indirettamente attori minori gli uni contro gli altri. Ma a un certo punto ne perdono il controllo. Perché se la guerra debba finire o continuare lo decide chi la fa.La terza concerne l’economia. Non però nel senso banale dell’interesse economico a conquistare un territorio, ad esempio per le sue materie prime. C’è molto di più. E di più importante.
Interessi economici enormi
Ne sono esempio le compagnie di mercenari che si impegnano nei combattimenti per conto terzi (pensiamo a Wagner/Afrika Korps per la Russia, Blackwater per gli Stati Uniti eccetera) e ne traggono lucrosi profitti.Di qui l’interesse a continuare, fino a istituire reti di traffico persino con i nemici o loro gruppi armati di riferimento. Paradossali i casi delle guerre balcaniche, dove capitava che serbi, croati, bosniaci si affittassero carri armati a tempo determinato; oppure, per restare all’attualità , il commercio delle armi ricevute dall’estero da parte di soldati e combattenti ucraini, che renderà fra l’altro estremamente incerto e pericoloso il dopoguerra (quando mai arriverà ) in una regione contigua ai Balcani già iperarmati.Regolare per via negoziale questo genere di guerre che appaiono e scompaiono con andamento carsico, ma difficilmente si estinguono, eccede energie e risorse delle migliori diplomazie. Da quando poi l’impero globale americano ha cessato di fungere da parametro quasi universalmente riconosciuto degli equilibri di potere, la sedazione dei conflitti si riduce in termini di spazi e tempi pacificati.La rivoluzione geopolitica in corso accelera la destrutturazione a mano armata dell’ordine precedente mentre non ne annuncia uno nuovo. Comunque sarà molto più relativo di quelli che studiamo sui libri di storia (ma li studiamo ancora?). Il rischio è che si diffonda così l’idea che le guerre sono e saranno fenomeni naturali, irreversibili, come pioggia, sole e vento. Concezione davvero disumana della realtà . Dunque irrealistica, finché saremo e ci riconosceremo reciprocamente umani.
