Storie di un litorale affacciato sull’Africa

by azione azione
24 Novembre 2025

A Tarifa, all’estremità meridionale dell’Andalusia nella provincia di Cadice, il vento ha trasformato un antico borgo di pescatori nella capitale europea del kitesurf

Qui finisce la Spagna e inizia il vento. Spazza ogni giorno uno strano paradiso per surfers e pescatori di tonno dove depurarsi dalle atmosfere testosteroniche, turisticamente parlando, della vicina Costa del Sol. In questa Andalusia atlantica sospesa tra due continenti l’intensità di una luce già quasi africana usa il mare come specchio riflettente lungo quella che molti hanno chiamato la spiaggia più lunga d’Europa. In realtà è un luogo di storie travolte, più che accarezzate, da venti impetuosi che hanno gonfiato le vele delle caravelle di Colombo e Magellano. Oltre un centinaio di chilometri scanditi da fari tra cui uno che si è guadagnato una fama mondiale grazie alla più celebre vittoria navale inglese, Trafalgar.

A vederlo da lontano questo basso promontorio non ha decisamente un physique du rôle degno di tanta gloria, ma quando le scogliere sotto il faro scompaiano nel buio, l’immaginazione si accende insieme alla lama di luce che si perde nel mare dove, in quel 21 ottobre del 1805, è morto Nelson, riportato in Inghilterra in una botte piena di rum, come testimoniano burocraticamente gli archivi della Royal Navy.

La danza dei surfisti

Secondo alcuni storici in questo estremo occidente i greci avrebbero collocato il mitico giardino delle Esperidi dove cresceva un melo dai frutti d’oro, ma i surfers contemporanei si accontentano del festival quotidiano di venti che danzano davanti a Tarifa. Sono stati loro a farne una capitale europea del windsurf, soprattutto nella sua versione più adrenalinica, il kitesurf, trasformando un passato bohemien in un presente più modaiolo di chiringuitos, i bar in riva al mare dove tirar tardi davanti alle tremolanti luci del Rif marocchino che si accendono a soli quattordici chilometri di distanza, così vicine che sembra di poterle toccare con un dito.

La storia di Tarifa iniziò molti secoli prima, nel 710 d.C. con lo sbarco di Tarif Ibn Malluk, alle quali lasciò in eredità il nome e iniziò da qui la conquista musulmana della penisola iberica. Una posizione strategica confermata dal massiccio castello di Guzmàn el Bueno, «il Coraggioso», che nel 1296 rifiutò di arrendersi lanciando un coltello agli assedianti come sfida a sgozzare il figlio prigioniero, cosa che si affrettarono a fare. Oggi fortunatamente a Tarifa basta un più pacifico soffio di vento per riempire l’orizzonte di stormi di improbabili pappagalli colorati, le vele dei kitesurfers che si sfidano ogni giorno su spiagge mitiche come Los Lances o Valdevaqueros.

«Sono arrivato qui per cambiare vita e alla fine ho aperto anch’io una scuola di surf» confessa Javier Muñoz, un passato in una banca di investimenti. «Ce ne sono altre settanta perché il vento perfetto attira gente molto passionale che spesso ha lasciato tutto per volare su queste onde sognando l’eterna giovinezza, come i ragazzi che vanno a Hollywood sperando di fare l’attore. Una competizione spietata dato che il kitesurf è molto più competitivo del surf. Ma un conto è avere venticinque anni, quando sei giovane e il tuo corpo è forte, un’altra faccenda è quando poi ti ritrovi a cinquant’anni senza opportunità, dopo una vita in un camper. Qui è nata una cultura del surf mondiale. I primi ad arrivare sono stati i tedeschi, ma ormai nessuno si ricorda più quando».

È cambiata Tarifa dai tempi in cui sembrava un accampamento hippie, ma i surfers sono sempre lì, un po’ sdruciti e in stato catalettico come insetti che si animano al primo soffio di vento che porta lontano la sirena del traghetto per Tangeri e rimbalza sui muri bianchi delle stradine intorno al castello. Un luogo di indefinito confine che può diventare un’ossessione, o un rifugio dal mondo come affermava il pescatore di Voices of the Old Sea, libro cult di Norman Lewis, «…qui siamo sempre stati e qui resteremo, qualunque cosa accada, ad ascoltare le voci del vecchio mare».

Forse le ascoltano anche le colonne delle rovine di Baelo Claudia romana nella vicina Bolonia, davanti a una duna mobile alta trenta metri che scivola in mare, o le mura sbrecciate dell’Almadraba, dall’arabo «il luogo dove si lotta», di Zahara de los Atunes. Una Macondo andalusa di pescatori, così innamorati dei loro tonni da essere stati persino satireggiati da Cervantes ne La ilustre fregona, oggi spazzati via da un’esplosione di pale eoliche e seconde case di devoti dell’abbronzatura e del tonno rosso, l’«iberico del mar». La versione spagnola della tonnara resiste solo nella vicina Barbate dove gli almadraberos, i pescatori, ripetono ogni primavera con tecniche meno cruente un rituale millenario iniziato ai tempi dei fenici.

Cadice, sogno proibito dei pirati

Storie di mare ne hanno da raccontare anche i palazzi di Cadice impregnati di salsedine che ricordano l’Havana situata proprio di fronte, sull’altro lato dell’oceano. Fondata dai fenici nel 1104 a.C. è considerata la città abitata più antica dell’Europa occidentale, base di Annibale per preparare l’invasione dell’Italia, occupata da romani e arabi ma soprattutto porto delle Flotte del Tesoro spagnole che ogni anno arrivavano dalle colonie americane cariche d’oro e ricchezze. Un sogno proibito per pirati e corsari, dai barbareschi a sir Francis Drake che nel 1587 «bruciò la barba del re di Spagna» come ironizzarono in Inghilterra, con una devastante incursione che ritardò di un anno la partenza dell’Invincible Armada.

Sulle ormedi Cristoforo Colombo

C’è molta storia legata alla scoperta delle Americhe anche nel Puerto de Santa Maria dove Colombo conobbe Juan de la Cosa proprietario della sua futura ammiraglia, la Santa Maria. A El Puerto, come lo chiamano tutti, nel 1500 venne realizzata la prima mappa del Nuevo Mundo per poi diventare la base di molte spedizioni e il quartier generale della Capitanìa General del Mar Ocèano y Costas de Andalucìa. I suoi grandi commercianti, i cargadores a Indias che controllavano i traffici con l’altra sponda dell’oceano la trasformarono nella Ciudad de los Cien Palacios, ma dopo la perdita delle colonie la città si raggrinzì in una dignitosa decadenza sopravvivendo grazie al commercio dello sherry.

Colombo lo ritroviamo nella vicina San Lucar de Barrameda dove comprò una rara copia de Il Milione di Marco Polo dal mercante inglese John Day per cercare nuove informazioni sull’Asia che era fermamente convinto di avere appena raggiunto. Da qui, nel 1519 salpò anche Magellano con cinque navi e 237 uomini, lui fu ucciso su una spiaggia delle Filippine ma il 6 settembre 1522 riapparve a San Lucar l’unica nave superstite, la Victoria, che aveva compiuto la prima circumnavigazione del mondo, con diciotto sopravvissuti ridotti a fantasmi, tra cui Antonio Pigafetta, cronista della spedizione.

Spedizioni e ricchezze perdute sono svanite, resta un mare di sogni spazzati ogni notte dal faro di Chipiona, il più alto di Spagna con i suoi sessantadue metri e una storia antica iniziata con la Turris Caepionis costruita nel 140 a. C. dal proconsole romano Quinto Servilio Cepione, che il geografo Strabone paragonava a una delle Sette Meraviglie del mondo classico, il faro di Alessandria. Una sentinella di pietra che scandisce con rassicurante continuità le onde dirette verso Las Americas e custodisce le storie di questo mondo di acqua, di sabbia e di vento oltre le Colonne d’Ercole.