Un nuovo progetto musicale sperimentale curato da Fabio e Leo Pusterla
Il colpo d’occhio è impressionante. Un palco che sembra galleggiare come una zattera sul fiume Cassarate. I passanti si fermano stupiti, si affacciano ai parapetti del ponte; perfino le auto rallentano, catturate da quella che pare un’allucinazione collettiva. Su quel palco effimero, destinato a durare solo una notte, Leo e Fabio Pusterla hanno presentato in anteprima il loro ultimo progetto: L’ultimo fiume.
La struttura, costruita da un gruppo di studenti dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana, sotto la supervisione dell’architetto Martino Pedrozzi, collega simbolicamente due quartieri. Un gesto architettonico, ma anche politico: nella città che ambisce a diventare «capitale della cultura», è davvero necessario costruire un palco sul fiume per dare spazio alla cultura indipendente?
L’ultimo fiume è un dialogo inedito tra suono e verso, ma anche, e forse soprattutto, tra padre e figlio. Un flusso sonoro che scorre tra i versi tratti dal recente Fiumi Nefrite Vortici (Marcos y Marcos, 2025) di Fabio Pusterla e le sonorità fluide, sperimentali, del figlio Leo. Un progetto audio che si muove sul confine tra musica e narrazione, con l’obiettivo dichiarato di creare un’esperienza immersiva: un viaggio tra suono e parola, dove il testo poetico si intreccia al paesaggio musicale in un gioco alchemico di tensioni, distensioni, rumori e silenzi.
«Per me è soprattutto un fiume metaforico, che parla dell’esistenza», racconta Leo Pusterla mentre beviamo un caffè al bar Dante, affacciato sul traffico di Piazza Molino Nuovo, a pochi passi da Safe Port, lo studio casalingo dove il progetto è stato registrato, mixato e masterizzato. Alla domanda su cosa racconti il lavoro, Leo risponde: «È l’ultimo fiume di mia nonna, la madre di mio padre, che è ormai molto anziana. Ci mette dentro una linea del tempo familiare, generazionale, e mi interroga sul senso della vita». Ma L’ultimo fiume è anche una suggestione letteraria: rimanda al Volga di Stalingrado di Vasilij Grossman, fiume carico di significati simbolici che ha ispirato il poeta, traduttore e critico letterario Fabio Pusterla, nella scrittura dei suoi versi.
Lavorare con il proprio padre, ammette Leo, non è stato semplice: «Non ne sarei stato capace cinque o sei anni fa. Ma ora mi sento più maturo e più sicuro della mia pratica musicale, e posso confrontarmi con serenità anche con lui». L’idea del progetto è nata durante la pandemia: «Lui leggeva, io improvvisavo. Mi ha impressionato quanto la sua voce fosse musicale. Da lì è nata la voglia di creare qualcosa di più strutturato, un vero e proprio concept album: un unico brano che evolve, come un fiume che dalle montagne scende verso il mare». Alle poesie registrate si è poi sovrapposta la trama sonora costruita da Leo, arricchita dagli interventi di altri musicisti: il pianista Andrea Manzoni, il chitarrista Fabio Pinto, la cantante jazz Eleonora Gioveni, il flautista Cristian Gilardi e il violoncellista Zeno Gabaglio.
L’ultimo fiume è un oggetto difficile da definire. «Abbiamo anche pensato di presentarlo come podcast», spiega Leo, «ma gli algoritmi delle piattaforme non avrebbero premiato file così lunghi. Alla fine abbiamo scelto il vinile, che abbiamo presentato il 31 ottobre al Teatro Sociale di Bellinzona». Una versione sarà disponibile anche in streaming, divisa in «parti lunghe» da circa cinque minuti. «Non ci aspettiamo grandi numeri online. Il nostro pubblico è altrove. Inizieremo un tour nelle librerie, da Roma a Bedigliora, passando per Pavia, Milano e Torino, per portare la musica in luoghi dove di solito non entra. Per questo useremo un dispositivo leggero, dando grande centralità al testo».
Durante le performance, infatti, Leo e Fabio si esibiscono da soli: «È un incrocio tra un dj set e un concerto. Usiamo un sintetizzatore e un MPC, il campionatore dei producer hip-hop anni ’90, con cui faccio partire le basi registrate e le modifico live. Ogni volta è una performance diversa».
Come dire che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume: nessuna esecuzione è uguale a un’altra, tutto scorre, tutto cambia. «Ci piace l’idea di portare la poesia in ambienti e davanti a pubblici poco abituati a questo tipo di linguaggio», conclude Leo sorridendo. «L’altra sera, sul Cassarate, è stato bellissimo vedere ragazzi e ragazze di Lugano ascoltare mio padre leggere poesie, una birra in mano, appoggiati al muretto. Non è una scena che si vede spesso».
