Recentemente, la Federazione mondiale di football (FIFA), e quella europea (UEFA), hanno respinto la richiesta giunta da più parti, di escludere la Nazionale israeliana, e i club del paese mediorientale, da qualsiasi manifestazione calcistica. Questo, in virtù del principio di neutralità politica dello sport. C’è qualcosa che non quadra. Mi risulta che lo stesso principio non sia stato applicato quando si è trattato di escludere la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina. Mi è più volte capitato di interrogarmi sul senso di questi veti. Se avessero il potere dissuasivo degli embarghi economici o del divieto di fornitura di armi a Paesi in guerra – fatta salva la dignitosa sopravvivenza delle popolazioni toccate – potrei condividerne l’applicazione. Sono per contro convinto che, in ambito sportivo, riescano a malapena a scalfire l’ego e l’orgoglio nazionale di qualche leader politico. Per contro, hanno il potere di distruggere la carriera di migliaia di atleti che, salvo dichiarate adesioni alle scelte politiche del loro Paese, non hanno alcuna responsabilità specifica.
A scanso di fraintendimenti, preciso che, a mio modo di vedere, le sanzioni che fanno seguito a un flagrante doping di Stato, si giustificano pienamente. Negli ultimi anni ci è caduta la Russia, dopo una lunga indagine condotta dalla WADA (World Anti-Doping Agency). Non nego che il divieto di gareggiare possa aver toccato anche atleti puliti, ma sono altresì convinto che l’esclusione sia stata un segnale forte, affinché un movimento incancrenito e fuorilegge, si mettesse di nuovo in carreggiata.
La storia dello sport è disseminata di contraddizioni. A partire dal muro eretto da alcuni paesi asiatici nei confronti di Israele negli anni 1950-1970 e che, su proposta del Kuwait, indusse l’Asian Football Confederation a espellere la Nazionale con la stella di Davide dalle sue manifestazioni. Un gesto che, come conseguenza, comportò l’affiliazione di Israele all’UEFA. Credo però che l’apice della contraddizione, anche se sarebbe più opportuno parlare di fondo, lo si stia raggiungendo durante la marcia di avvicinamento ai Giochi Olimpici di Milano-Cortina che si apriranno il prossimo 6 febbraio.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) se ne sta pilatescamente lavando le mani, lasciando la decisione alle singole federazioni. Salvo ripensamenti, sulle nevi della Val di Fiemme, non vedremo il fondista russo Sergey Ustiugov contendere lo scettro di re al norvegese Johannes Klæbo. In compenso, nel pattinaggio di velocità e nello Short Track, lotteranno per le medaglie anche i campioni russi, così come quelli bielorussi, considerati alleati e complici nella guerra in Ucraina.
In fondo, il CIO avrebbe tutte le carte per evitare scelte a geometria variabile e porre fine a questa sorta di schizofrenia sanzionatoria. Nei suoi statuti si prevede che i Paesi ospitanti garantiscano la partecipazione a tutti, senza alcuna discriminazione di razza, etnia, religione, genere, orientamento sessuale e convinzioni personali. Immagino che sia per queste ragioni che il massimo organo sportivo mondiale si sia imbufalito quando ai recenti mondiali di ginnastica artistica, che si sono svolti a Giacarta, in Indonesia, gli organizzatori hanno negato i visti d’entrata ai rappresentanti della delegazione israeliana.
Stiamo assistendo a una battaglia diplomatica che contribuisce alla perdita di credibilità, non tanto dello sport in quanto fenomeno di massa in grado di dispensare gioia ed emozioni, quanto piuttosto quella delle sue istituzioni.
Riammettere ufficialmente, anche all’ultimo minuto, la Russia, le sue squadre, i suoi atleti, oltre a porli sullo stesso piano di quelli israeliani e a quelli di tutti gli altri paesi del globo, significherebbe ridurre vertiginosamente il rischio di potenziali gravi problemi di ordine pubblico. In settembre, la Vuelta di Spagna è stata più volte disturbata da manifestazioni inscenate da attivisti pro Palestina che richiedevano il ritiro dalla corsa della Israel-Premier Tech. L’ultima tappa, quella della consueta passerella madrilena, è stata addirittura tagliata. Pochi giorni dopo, gli organizzatori dei Giri di Emilia e di Lombardia hanno d’intesa concordato con il management della squadra l’esclusione della Israel.
Manca un’ottantina di giorni alla cerimonia inaugurale dei Giochi, che andrà in scena nello Stadio Meazza di Milano. Ottanta giorni a disposizione del CIO per ritrovare la bussola, per assumersi delle coraggiose responsabilità e soprattutto per ridurre le possibili cause di spiacevoli incidenti, visto che il conflitto israelo-palestinese pare ancora lontano da una soluzione duratura.