La pedinatrice

by azione azione
10 Novembre 2025

Sono in una via del centro. Sto guardando la vetrina di un negozio di abbigliamento. Non è ancora metà novembre, ma stanno già vendendo il Natale.
«Non fa per lei», dice una voce femminile dietro di me. Mi volto e vedo una donna con un completo blu.
«Che cosa non fa per me?», dico.
«Quella camicia a scacchi», dice la donna.
«Ma non stavo guardando quella camicia», dico.
«Lei mente», dice la donna.
«Come fa a dirlo?», dico.
«È la terza volta in quattro giorni che lei si ferma davanti a questa vetrina», dice la donna. «Guarda un po’ tutto, ma poi si ferma sempre a guardare quella camicia lì».
«Mi sta pedinando?», dico.
«No», dice la donna. «Raccolgo informazioni».
«Sui comportamenti dei potenziali clienti di questo negozio?», dico.
«No», dice la donna. «Su di lei».
«Allora mi sta pedinando», dico. «Inutile che lo neghi».
«Il lavoro di raccolta di informazioni che sto effettuando, signor Mozzi», dice la donna, «è molto vasto e articolato. Trovo che parlare di “pedinamento” sia francamente riduttivo».
«Va bene», dico. «Prendiamo un caffè?».
«Questo è esattamente ciò che mi aspettavo», dice la donna.
«Cioè?», dico.
«Lei è così curioso di comprendere ciò che sta avvenendo», dice la donna, «da sottovalutare i pericoli. Anzi, nemmeno li considera».
«Ci sono dei pericoli?», dico.
«Dipende dal concetto di pericolo che si ha in mente», dice la donna.
«C’è il pericolo che io sia malmenato, rapito, ucciso, derubato, manipolato, mesmerizzato, ricattato, truffato, amputato di uno o più arti, diviso in due con un colpo di scimitarra, bollito in un pentolone?».
«Niente di tutto questo», dice la donna.
«E allora?», dico.
«Lei aveva proposto un caffè», dice la donna.
Due passi e c’è un bar. Prendiamo un tavolino all’aperto, per essere più tranquilli. Ordiniamo due caffè, dell’acqua.
«Lei», dico, «che cosa sa di me?».
«Quasi tutto», dice la donna.
«Mi faccia un esempio», dico.
«Domani ha appuntamento dal dermatologo», dice la donna, «ma non so quale sia esattamente il problema».
«Ha accesso alla mia agenda in Google?», dico.
La donna sorride.
«Quindi anche alla mia posta elettronica», dico.
La donna sorride.
«Ma non al mio WhatsApp», dico.
La donna annuisce.
«La mia domanda è», dico: «a che cosa le serve tutto questo?».
«È stato un suo suggerimento», dice la donna.
«Cado dalle nuvole», dico.
«Non un suggerimento che lei ha dato a me personalmente», dice la donna, «ma una cosa che ha raccontato in un paio di interviste».
«Mi spieghi», dico.
«In alcune interviste lei ha raccontato la storia della pubblicazione del suo primo libro», dice la donna. E ha detto di aver fatto avere il suoi racconti, illo tempore, a pochissime persone. Che però, guardacaso, erano le persone giuste».
«Sì», dico.
«E quando l’intervistatore le ha chiesto un suggerimento da dare agli aspiranti scrittori», dice la donna, «lei ha detto, e cito testualmente: “Se volete trovare ascolto, non dovete rivolgervi a tutti quelli che vi capitano a tiro; dovete scegliere a chi rivolgervi, cercare di capire se quella è la persona giusta per voi, la persona che può darvi ascolto e aiutarvi; e poi cercate il contatto”».
«È sicuramente un concetto che posso aver espresso», dico. «E dunque lei, per capire se io posso essere la persona giusta, si è infiltrata nella mia vita privata, ha hackerato la mia posta, mi ha pedinato per non so quanto, e così via. Giusto?».
«Non ho fatto solo questo», dice la donna. «Ho anche letto tutti i suoi libri, ho esplorato i suoi account social, sono venuta a sentirla parlare in svariate occasioni, eccetera».
«Ma perché?», dico.
«Perché ho scritto un romanzo, voglio pubblicarlo, e sto cercando l’interlocutore giusto», dice la donna.
«Ha ragione», dico. «Stavo guardando esattamente quella camicia».
«Che non è per lei», dice la donna.
«Vuole dunque consegnarmi anche il suo romanzo?», dico.
«No», dice la donna.
«No?», dico.
«No», dice la donna. «Dopo lunga osservazione ho deciso che non è lei la persona adatta. Mi sono rivelata solo per dirglielo. Grazie per il caffè».