«Dalle guerre ai disastri, tutelare la salute mentale dei minori è essenziale», dice ad «Azione» Zeinab Hijazi dell’Unicef
La fine di una guerra, di un’emergenza quale un’alluvione o una carestia, non coincide mai con la fine del dolore. Quando le armi tacciono e le acque si ritirano, non tutto torna al suo posto. Per chi ha vissuto le bombe, lo sfollamento, la fame o l’esperienza della perdita (di persone care, della casa) la serenità rimane un concetto astratto e distante. I bambini sono tra i più colpiti. In luoghi come Gaza, il Sudan, l’Ucraina e lo Yemen, l’infanzia si interrompe prima di iniziare. Le conseguenze psicologiche di un trauma collettivo compromettendo la capacità dei più piccoli di costruire relazioni, sentirsi al sicuro e immaginare un futuro. Ansia, depressione, disturbi post-traumatici sono all’ordine del giorno e sono spesso segnali ignorati…
La salute mentale resta stigmatizzata
«Nel mondo più di 1 adolescente su 7 vive con un problema mentale diagnosticabile; metà dei disturbi iniziano prima dei 14 anni, eppure la maggior parte di chi ne soffre non riceve cure», spiega ad «Azione» la psicologa Zeinab Hijazi, responsabile globale per la salute mentale di Unicef. «La salute mentale resta fortemente sottofinanziata e stigmatizzata (chi affronta un disagio è spesso giudicato male, evitato o non preso sul serio; molti non ne parlano per timore di essere percepiti come deboli o instabili). L’Unicef sta lavorando per cambiare questa situazione, rendendo la salute mentale una priorità in ogni contesto». Per l’agenzia è una questione di diritti, dignità ed equità: la salute mentale è intimamente legata alla capacità dei più piccoli di apprendere e crescere al meglio. «Attraverso il nostro Piano strategico, stiamo lavorando per integrare il supporto psicosociale nei servizi quotidiani rivolti a bambini/e e famiglie – nei settori della sanità, dell’istruzione, della protezione dell’infanzia e dei servizi sociali – affinché i bambini possano ricevere assistenza nei luoghi che già frequentano. Collaboriamo con Governi e comunità per rafforzare i sistemi, affinché la salute mentale diventi uno standard di cura disponibile su larga scala». Dalla gravidanza e prima infanzia, fino all’adolescenza e oltre. «Ci concentriamo sulla creazione di ambienti protetti, sulla riduzione dei rischi e sull’assicurare che i servizi siano disponibili quando bambini o famiglie necessitano di cure specialistiche».
Essenziale – osserva la nostra interlocutrice – sostenere genitori, caregiver e insegnanti, specialmente in contesti caratterizzati dalla vulnerabilità: il benessere dei bambini dipende infatti dal benessere degli adulti che li circondano (vedi ad esempio Caring for the caregivers, in italiano «Prendersi cura di chi si prende cura», un’iniziativa dedicata al benessere psicologico e alla salute mentale di chi si occupa dei bambini in contesti di emergenza, vulnerabilità o crisi). «Quando gli adulti ricevono supporto per gestire lo stress e superare le avversità, sono più capaci di offrire cure amorevoli in un ambiente più sicuro, fondamentali per la crescita dei bambini. Ogni bambino merita questa base solida e affettuosa».
Prendiamo ora il caso dell’Angola, un contesto caratterizzato da instabilità economica, disastri naturali, insicurezza alimentare e idrica. Le aree colpite devono affrontare maggiori rischi per la protezione dei bambini, tra cui violenza, matrimoni precoci e lavoro minorile. Molte scuole non dispongono di un registro delle nascite, ostacolando l’accesso dei più piccoli ai servizi essenziali. Il programma dell’Unicef prevede l’implementazione di manuali sulla paternità responsabile, lo sviluppo delle competenze dei caregiver e la formazione dei leader della comunità per svolgere attività di sostegno alla genitorialità attraverso sessioni di sensibilizzazione locali. «Si tratta di soluzioni pratiche, basate sulla comunità, che raggiungono le famiglie dove si trovano, riducono lo stress e rafforzano le relazioni», osserva Zeinab Hijazi. «Ho visto come un piccolo cambiamento nel supporto possa trasformare non solo la resilienza di un genitore, ma anche il senso di sicurezza e speranza di un bambino».
Il cambiamento climatico
Per quel che riguarda invece l’impatto del cambiamento climatico sui diritti e sul benessere dei bambini? «Il climate change non è solo una crisi ambientale, è una crisi dell’infanzia», sottolinea l’intervistata. «I suoi effetti stanno già plasmando la vita di bambini e giovani in tutto il mondo: piccoli che sperimentano siccità, inondazioni, sfollamenti e perdita di mezzi di sussistenza. Queste esperienze lasciano cicatrici profonde, anche sulla salute mentale dei bambini. Paura del futuro, ansia, stress grave e traumi dopo disastri sono sfide reali e in crescita per questa generazione. Come mi ha detto un giovane: “Stiamo crescendo con il peso di un futuro che non abbiamo scelto”».
Oggi quasi 1 miliardo di bambini vive in Paesi ad altissimo rischio climatico, specifica l’Unicef. Molti di loro crescono anche in contesti con scarso accesso a supporto psicosociale e per la salute mentale. Questo significa che affrontano un doppio fardello: gli impatti climatici senza una rete di protezione. Ma ci sono anche storie che infondono speranza. In Honduras, dopo gli uragani Eta e Iota che hanno colpito 4,6 milioni di persone, lasciandone 2,8 milioni bisognose di sostegno, l’Unicef ha collaborato con la Croce Rossa per formare psicologi e giovani volontari in modo che conducano sessioni di gruppo basate sul gioco per aiutare i bambini a elaborare le emozioni, ricostruire l’autostima, affrontare la perdita e l’ansia. «Mentre in America Latina e nei Caraibi abbiamo contribuito a riunire giovani attivisti per il clima – che rappresentano un ponte tra giovani, scienziati, cittadini e decisori politici – affinché le loro voci e il loro impegno siano parte delle soluzioni».
Queste storie ci ricordano che l’azione climatica deve tradursi anche in iniziative a favore della salute mentale, conclude la nostra interlocutrice. «Proteggere i diritti dei bambini nell’era del cambiamento climatico significa fornire loro supporto, competenze e solidarietà non solo per sopravvivere, ma per sperare. E ogni bambino ha diritto alla speranza».
