Storia di una gioventù dolente

by azione azione
3 Novembre 2025

Nel suo ultimo libro Walter Siti racconta i ragazzi della Generazione Z: in ansia e rifugiati nella propria stanza o nel digitale

Questo ultimo saggio dello scrittore e critico Walter Siti si conclude con una dichiarazione di emozione spinta fino al pianto di fronte a una lettura. Viene in mente un passo molto simile nel quale Michel Houellebecq racconta la sua esperienza di un brano di Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère. Come là «è stato proprio nel momento in cui ho letto che, ricordo, sono scoppiato in singhiozzi e ho dovuto posare il libro, incapace per alcuni minuti di proseguire», qui è la lettura degli Sdraiati di Michele Serra, con la scena del padre colmo di consolazione per il figlio trionfante di gioventù che finalmente si sente autorizzato «a diventare vecchio». Dice Siti: «leggendo l’ultima frase mi sono venute le lacrime agli occhi, io vecchio non potrò diventarlo più».

Dunque, sì, di fronte a tali immagini (e avendo ben presente la qualità confortante dei suoi romanzi), di Walter Siti, di quel suo tono scientifico-autobiografico e della sua sincerità ci possiamo fidare fino in fondo, anche quando parla di una età tanto lontana dalla sua, e perfino quando non siamo d’accordo con lui. La fuga immobile, appena uscito (Silvio Berlusconi Editore), ci descrive una generazione, la cosiddetta Generazione Z, nata più o meno tra il 1997 e il 2012, completamente nativa digitale, non particolarmente attratta dall’indipendenza economica, attenta a qualche principio morale di inclusività e rispetto, esposta a «un’epoca di ferro», al ritorno delle guerre geograficamente prossime, perennemente in attesa di un disastro che non arriva veramente mai.

Una generazione che non ama farsi chiamare tale, che fatica a relativizzare le delusioni e il mancato rispetto, che ha paura, che sceglie piuttosto di sparire. L’ambiente più prossimo la protegge e in molti casi la rende più fragile. Sembra che nel classico gioco adolescenziale delle «dieci cose per cui vale la pena di vivere» le tradizionali propensioni per la sfera sessuale e le squadre di calcio abbiano fatto posto, in questa ultima arrivata fetta di società, a una preferenza tanto imprevista come la famiglia. Da un lato, non si vorrebbe vedere la mamma alle partite di pallavolo o ai concerti della scuola di canto, e arrivati a casa, la fuga in camera ha ormai la forza solida del luogo comune; d’altro canto, però, un inimmaginabile e incongruo calore familiare si esprime attraverso sporadiche compagnie al tavolo della cena o in altre modalità, più teen: «Mi ha colpito l’enorme numero di visualizzazioni (pare soprattutto da parte di adolescenti) accumulato dai video ASMR dedicati al cibo: in varie location c’è qualcuno che mangia mentre i rumori di deglutizione o sgranocchiamento sono rallentati e amplificati in modo da indurre una dolce sazietà».

La propria stanza e il digitale sembrano essere i rifugi supremi di queste giovani persone, perennemente in ansia e alla ricerca di collocazioni equidistanti e impraticabili rispetto alla ristretta comunità familiare: né troppo vicino, né troppo lontano, meglio in mezzo allo stormo dei propri pari, che in qualche direzione vorrà pur volare. L’attore Keanu Reeves, il protagonista storico di Matrix (oggi ha sessanta anni) si porta addosso continuamente la responsabilità un po’ scomoda di parlare di quel film e della drammatica incertezza tra reale e virtuale vissuta con patema dal protagonista: una sorta di parabola della modernità, per noi della sua età. Si racconta però che a cena da un amico produttore l’autorità di questa immagine sia una sera crollata di fronte alle obiezioni dei due giovani figli dell’ospite: «Che problema è non sapere se stai nella realtà o nel mondo virtuale? A noi di certo interessa poco».

I saggi di Siti hanno spesso il procedere testuale dell’ampio racconto di una storia, qui della storia di questa adolescenza così ingiustamente dolente senza nemmeno la voglia di essere salvata. Se «la nostra vita è diventata come l’acqua in cui vegetano le mangrovie, né dolce né salata, un composto indiscernibile di reale e digitale, un liquido salmastro in cui i vecchi rischiano di annegare e della realtà analogica hanno occupato tutti gli spazi», che spazio di vita rimane a queste persone in fieri e così incollate per terra da non potere nemmeno fuggire? Certamente, sembra letteratura di qualità, eppure è solo verità molto ben raccontata. Per fortuna, viene da dire, c’è Walter Siti. Anche per la Generazione Z.