Spalle forti, cuore grande

by azione azione
3 Novembre 2025

Le voci degli operai del porto di Genova i loro gesti di pace e solidarietà

Eccolo qua il console, il capo dei Camalli di Genova, la leggendaria Compagnia unica dei lavoratori portuali che esiste dal 1300. Robusto, pacato, si chiama Antonio Benvenuti e ha 74 anni. «Quando a fine agosto è partita da Genova la mobilitazione per Gaza – racconta – qui al porto sono cominciati ad arrivare migliaia e migliaia di sacchi da mandare ai palestinesi, attraverso le barche della Global Sumud Flotilla. Servono braccia per preparare pacchi? Abbiamo messo a disposizione 40 uomini. Serve una sala? Prendete la nostra. Non è mio compito fare politica, ma dare una mano sì».

Riconfermato al comando per la sesta volta consecutiva, a metà ottobre, dall’assemblea dei soci – perché i Camalli da sette secoli sono soci della Compagnia e non dipendenti – Benvenuti dice con orgoglio: «Facevamo lavoro flessibile su chiamata già nel 1300 e lo facciamo ancora adesso. Quando arrivano navi servono operai specializzati. Un’ora e mezza prima ti arriva un messaggio e tu devi essere pronto e sul posto». Dire Camallo significa dire aristocrazia operaia di Genova. Il termine è un misto tra l’antico dialetto genovese e la parola araba «ḥammāl», che significa «portatore» o «facchino». Sulle spalle dei Camalli – gli «scaricatori» del porto – è passata per secoli tutta la merce che dal buio della stiva è finita in banchina alla Darsena, tornata ad essere il cuore della città dopo la ristrutturazione dell’architetto Renzo Piano nel 1992 (in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla scoperta dell’America).

I consoli del mare

Fu appunto nel primo Medioevo che a Genova vennero istituiti i «consoli del mare» per governare le attività e la manutenzione del porto di una città diventata crocevia dei commerci nel Mediterraneo. In origine gli «scaricatori» erano immigrati bergamaschi. «Ora la maggior parte dei Camalli è ligure, quasi sempre figli di operai», osserva Benvenuti. «Ma ci sono anche ragazzi nuovi dal Centro America e qualche africano. Eravamo molte migliaia e ora siamo 1070. L’introduzione dei container e dei traghetti ha assottigliato la Compagnia, ma i volumi di merci sono aumentati e noi siamo una presenza costante. Il lavoro è rimasto pericoloso, tra gru e contenitori semoventi. È un lavoro di squadra e quando finisce il turno rimani a parlare con gli altri, fai riunioni, giochi a carte: sei socio, appartieni a qualcosa. Non è come in fabbrica dove stacchi e scappi». Lui è entrato nei Camalli nel 1974, aveva poco più di 20 anni: «Ora al porto ci sono i privati e lavoratori dipendenti dei terminal. Allora il porto era pubblico e basta. Sono entrato tramite bando, e ce l’ho fatta anche perché avevo già moglie e figlia… Lavoravo con soci anziani che mi hanno insegnato il mestiere, come scaricavano. Non c’erano container, si usavano ganci e sacchi: c’era la merce di frigorifero, il congelato, il ferro, si usavano le spalle. Fino a 100 uomini per scaricare una stiva».

Parliamo anche con A., un Camallo di lunga esperienza, che ci spiega: «Facciamo turni da 6 ore, possiamo scegliere di farne due insieme, da mezzogiorno a mezzanotte, con una pausa in mezzo. Siamo reperibili tutto il giorno». Guadagno? «In media più di un operaio normale, il cui stipendio va dai 1000 ai 1200 euro. Poi dipende dal tuo rendimento e dalle condizioni: se piove forte ti pagano di più. Io vado dagli 800 a 1900 euro al mese. Siamo soggetti a tutte le crisi. Se c’è un attacco degli Houthi nel Mar Rosso o altre emergenze internazionali e non passano i mercantili, non lavoriamo».

Contro le armi

Negli ultimi anni ha preso quota un’altra organizzazione di operai nel porto: il Calp, il Collettivo autonomo lavoratori portuali. Vengono percepiti dall’esterno come un sindacato di base. Da loro è partita quest’estate la mobilitazione popolare per Gaza: loro hanno fisicamente impedito il carico di materiale bellico su una nave israeliana che poi è ripartita senza… Dice un assessore che conosce bene armatori e portuali: «Il Calp ha posizioni molto nette sulle armi, le ha sempre avute anche in tempo di pace. E non ha paura di far sentire la sua voce. Ricordiamo che in Liguria esistono degli stabilimenti e centri di ricerca di Leonardo, uno dei principali attori nel settore militare (coinvolto nel mercato elvetico della difesa attraverso collaborazioni, forniture e progetti con le forze armate svizzere, ndr.). Su Gaza il Calp ha trascinato tutti perché la gente in città è con i portuali che bloccano l’imbarco di materiale bellico».

Un operaio che fa parte del Calp ci dice: «Nel 1973, in piena guerra del Vietnam, i Camalli hanno portato una nave carica di generi di soccorso nel Paese asiatico, violando l’embargo americano. E ora insieme boicottiamo le navi israeliane. Quando ripartono allertiamo ogni porto: forse riusciranno a caricare in un porto militare, ma non in uno civile». Il porto di Genova mostrava e mostra solidarietà e rispetto per la vita: «Il messaggio che vogliamo portare avanti è questo: il mare unisce e non divide, noi che lavoriamo sul mare lo abbiamo capito».