Il Museo Casa Rusca a Locarno ospita le rassegne Knowing Bodies e Path of Totality
«Durante la progettazione delle due mostre ho scoperto analogie e parallelismi che inizialmente non erano intenzionali», rivela Gioia Dal Molin, curatrice della coppia di rassegne ospitata negli spazi di Casa Rusca a Locarno: una collettiva che ruota attorno alla poliedrica figura di Simone Forti, artista, danzatrice e coreografa, e una personale dedicata all’italo-tunisina Monia Ben Hamouda. Pur nella diversità degli esiti finali, la ricerca di tutti gli autori coinvolti nelle due esposizioni testimonia difatti come essi abbiano delle indubbie affinità nell’approccio alla creazione dell’opera d’arte e nei propositi che ne determinano il valore. La prima di queste corrispondenze può essere rintracciata nel medesimo intento delle artiste e degli artisti di fare del corpo umano uno strumento di esplorazione del mondo, seguita poi dalla consapevolezza di come il loro lavoro abbia un profondo legame con il contesto in cui nasce e che quindi racchiuda in sé una forte dimensione politica.
La relazione tra i due progetti espositivi viene sottolineata all’inizio dell’itinerario di mostra grazie all’accostamento di alcuni disegni di Forti e di Ben Hamouda, a testimoniare la stretta connessione tra idea e azione, tra gesto e linguaggio che contraddistingue la modalità espressiva di entrambe: sono opere che prendono vita in maniera repentina e spontanea, capaci di esprimere pensieri ed emozioni attraverso il movimento istintivo della mano.
Quanto il nostro corpo abbia un ruolo determinante nella conoscenza che abbiamo delle cose è reso ancor più evidente, nel prosieguo del percorso, dal dispiegarsi dei lavori di Forti in affiancamento a quelli di giovani artisti che a lei si sono ispirati. Quella di Forti è una figura estremamente interessante: muovendosi con disinvoltura tra diverse tecniche e discipline – performance, installazione, pittura, fotografia, video e disegno – ha sviluppato una pratica creativa incentrata sull’indagine del legame tra corpo, oggetti e ambiente, contribuendo alla ridefinizione del concetto di atto performativo.
Nata in Italia nel 1935 ed emigrata negli Stati Uniti, Forti è tra i protagonisti della scena artistica sperimentale della New York dei primi anni Sessanta, nonché di quella romana che, a partire dal 1968, le permette di avvicinare il pubblico italiano alle più rivoluzionarie forme di danza. Nella sua ricerca sul potenziale coreografico delle movenze del corpo, Forti si affida alla tecnica dell’improvvisazione, in cui la fiducia nella propria fisicità e nella sua intelligenza istintiva, fatta di sensazioni immediate, di percezioni e di intuizioni, è fondamentale.
Visionaria e sperimentatrice, Forti con la sua arte solleva così riflessioni e quesiti urgenti dell’epoca attuale, caratterizzata da una corporeità sempre più labile che deve resistere al dilagare del digitale e agli atteggiamenti discriminatori che la aggrediscono, umiliano e offendono.
Molti sono gli artisti che hanno preso come punto di riferimento il lavoro di Forti partendo proprio dal presupposto che il rapporto che il corpo ha con il mondo è determinato dalle condizioni culturali, sociali e politiche in cui si muove. Tra questi, Steffani Jemison, Lenio Kaklea, Marta Margnetti, Katja Schenker, Jeanne Tara, Juliette Uzor e Isaac Chong Wai sono presenti in mostra con opere che analizzano le modalità di interazione del nostro corpo con gli ambienti pubblici e privati, la sua vulnerabilità all’interno del contesto collettivo, i suoi limiti, le sue strategie di resistenza e di adattamento nei confronti delle strutture di potere, così come la sua capacità di mettere in discussione le convenzioni di movimento e identità.
Procedendo nel percorso espositivo ci accolgono poi i lavori di Monia Ben Hamouda, artista cresciuta a Milano la cui indagine è volta a esplorare le diverse culture e le loro tradizioni iconografiche e ideologiche, con una particolare attenzione alla realtà araba. Di padre tunisino, Ben Hamouda, difatti, è fermamente convinta che gli uomini siano congiunti in maniera indissolubile ai propri antenati, cosicché il suo linguaggio visivo diventa espressione del patrimonio culturale e religioso islamico, ponendosi come mezzo per meditare su tematiche che spaziano dalle esperienze dei migranti al divieto della rappresentazione figurativa della civiltà araba, fino ad arrivare alle proprietà delle spezie.
Proprio le sostanze aromatiche dai colori e dai profumi intensi, associate ad altri materiali quali il ferro e il legno, vengono utilizzate dall’artista per dar vita a installazioni, sculture e dipinti dalle accentuate caratteristiche sensoriali in cui viene sviscerato il loro significato di elementi legati alle pratiche curative, spirituali e rituali.
A Locarno incontriamo così le grandi tele dal titolo Rain (Blindness, Blossom and Desertification), opere in lino grezzo dipinte con polvere di ibisco, cannella, cenere, carbone, tè nero e terra rossa, le cui forme selvagge impresse sulla stoffa hanno origine dal movimento del corpo dell’artista. Ecco poi l’allestimento dal forte impatto visivo di due ambienti antitetici e al contempo complementari attraverso cui Ben Hamouda riflette sulla condizione attuale del mondo, sospeso tra il buio provocato da guerre, ideologie aberranti e crisi climatiche e il chiarore alimentato dalla speranza. Da qui l’emblematico titolo della mostra, Path of Totality, nome astronomico della linea geografica tracciata dall’ombra più marcata della luna sulla superficie terrestre durante un’eclissi solare.
Da una parte, uno spazio cupo con pareti scure è dominato dall’opera Reversion (Wudu Diorama), un’installazione composta da travi in legno cosparse di spezie. Dall’altra, uno spazio illuminato dalla luce arancione di due soli accoglie eleganti sculture sospese, realizzate in acciaio, che racchiudono riferimenti all’aniconismo dell’Islam e alla conseguente nascita della tradizione calligrafica araba. Sotto di esse, la polvere di curcuma, peperoncino, cannella e cumino sparsa sul pavimento genera magici ornamenti e stuzzicanti fragranze che rivelano la fiducia in un futuro migliore.
Dove e quando
Path of Totality – Monia Ben Hamouda. Knowing Bodies – Mostra collettiva.
Museo Casa Rusca, Locarno.
Fino all’11 gennaio 2026.
Orari: martedì-domenica 10.00-16.30. Lunedì chiuso.
www.museocasarusca.ch
