Potentissime, la premier Kristún Mjöll Frostadóttir è una giovane leader capace di unire rigore economico e sensibilità sociale
Uso moderato dei social media, comunicazione diretta, meno giudizi, più tentativi di capire le ragioni degli elettori: sono queste le strategie con cui Kristún Mjöll Frostadóttir sta cercando di tenere a bada il populismo e gli estremismi nella piccola isola di cui è premier, l’Islanda, 400mila abitanti di cui un quinto di provenienza straniera. Finora ha funzionato, e se è vero che sembra facile parlare da un contesto così protetto, ricco – il Pil pro capite è tra i più alti al mondo – c’è qualcosa nell’atteggiamento della leader (tra le più giovani premier al mondo), 37.enne economista di Yale, che dovrebbe far riflettere chi – con qualche decennio in più e un ricorso tutt’altro che moderato ai social e alla polemica – si stupisce che seminando vento si raccolga l’inevitabile tempesta.
«Come società dobbiamo farci avanti. E questo, credo, sia l’antidoto più forte che ci sia per questa situazione polarizzata in cui ci sono persone di estrema destra e poi partiti di sinistra che dicono alle persone che dovrebbero votarli come si devono sentire, come devono pensare e che sono cattive persone», ha detto in una delle tante interviste che le fanno, perché il centrosinistra di ogni latitudine è alla disperata ricerca di modelli e la premier islandese sembra avere delle idee. In carica dal dicembre del 2024, Fostadóttir ha un viso sorridente e un piglio sereno nel definire la sua visione: «Una social democratica che capisce come si gestiscono i conti pubblici». Figlia di una dottoressa e di un etnografo, ha studiato economia a Reykjavik e poi negli Stati Uniti, ha lavorato per Morgan Stanley prima a New York e poi a Londra. Dopo aver ottenuto molta visibilità come commentatrice televisiva e radiofonica durante la pandemia, si è candidata per la prima volta nel 2021, vincendo uno dei 63 seggi all’Althing, il Parlamento unicamerale islandese, e poi di nuovo nel 2024, quando il partito di cui era diventata leader due anni prima con il 94% dei voti è emerso dalle urne come il più forte, con un raddoppio dei voti a 20,8%. La presidente Halla Tómasdóttir le ha dato l’incarico di formare un Governo e lei ha chiamato a raccolta i liberal-riformisti e il Partito del popolo, tutti partiti guidati da donne: è soprannominato Valkyrjustjórnin, il Governo delle valchirie. E gli uomini sono rimasti all’opposizione, dopo che la coalizione precedente, che teneva insieme le anime molto diverse di conservatori e verdi, è finita vittima dell’instabilità che dalla crisi del 2008 domina la politica islandese. Motivi principali: immigrazione e alloggi.
Ci sono stati anni turbolenti e l’Islanda non è più solo l’isoletta remota dell’Artico che nel 2010 ha bloccato il trasporto aereo internazionale per via dei fumi del vulcano Eyjafjallajökull. Ora gli aerei diretti a Reykjavik sono aumentati, il turismo è diventato uno dei settori principali dell’economia e gli anni della disoccupazione al 9% e di Björk come unico elemento cool del Paese sono un ricordo. La premier vuole che Reykjavik entri nell’Ue nel 2027, dopo che dieci anni fa il tentativo si è arenato sulla questione dei diritti di pesca. «Vogliamo che l’Islanda e gli altri Paesi dell’EFTA, l’Associazione europea di libero scambio, siano considerati Paesi del mercato interno, perché siamo preoccupati dai dazi», ha affermato Frostadottir. «Sono parte di una piattaforma pro-Ue e sono pro-Ue», dice, ma non vuole che sia un voto dettato dalla paura bensì che rifletta «speranza, aspirazione e un’agenda positiva». Da brava economista prende i conti pubblici molto sul serio, punta al pareggio di bilancio nel 2027 e vuole coinvolgere i cittadini, chiede idee per il risanamento. «Un grande motivo di instabilità è quando la gente pensa di non essere ascoltata», ha spiegato, raccontando di quanto sia importante per lei far capire di credere nel sistema e incoraggiare la gente a fare altrettanto, attraverso cambiamenti di lungo termine, che richiedono tempo, ma anche iniziative più immediate, che diano il senso di aver votato per qualcosa. «La gente ti vota per governare, apprezza se dici che è difficile», sostiene. «È vero, sono molto giovane, ma sono anche la terza donna in questa posizione», ha ammesso, felice di aver saputo dare al suo Governo un’aura di concretezza, anche se è solo la seconda volta che i socialdemocratici sono al potere. Finora lo scandalo più grave è stato quando la ministra dell’Infanzia ha rivelato di aver avuto, a 22 anni, un figlio con un suo allievo quindicenne. Il fatto è accaduto 36 anni fa e Ásthildur Lóa Thórsdóttir si è dovuta dimettere.
L’Islanda, indipendente dalla Danimarca dal 1918, è geograficamente e politicamente vicina alla Groenlandia, e Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato alla Casa Bianca parlando di annettere quest’ultima, per ribadire quanto l’Artico sia nella sfera d’influenza americana e sottrarlo alla Cina. L’Islanda, che non ha un esercito, è nella Nato e per Frostadóttir è cruciale mantenersi attenti alle evoluzioni nel rapporto con gli Stati Uniti, realtà che la premier conosce benissimo. I dazi al momento sono al 15%, sebbene gli Usa esportino più di quello che importano, e per Reykjavik questo è un problema enorme. Tutto deve essere oggetto di un ripensamento, è quello che il Paese le chiede, compreso l’utilizzo delle risorse naturali e un overtourism che, oltre ad affollare le città, mette sotto pressione il delicato equilibrio dell’isola: da quando il vulcano ha fatto sentire la sua voce, quindici anni fa, il Paese è passato da 500mila a 2,3 milioni di turisti all’anno. Vittima del suo successo, ha dato mandato a una giovane donna con le idee chiare di immaginare un futuro.
 
			         
			         
			        