Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo. Semplicemente, Pippo: il signore della tv italiana. E così, dopo Tortora, Mike, Corrado, Vianello, abbiamo dato l’addio anche a lui. Il maestro dei presentatori televisivi, ideatore di programmi, scopritore di volti, artisti, cantanti, attrici. Uomo di spettacolo, showman, autore, volto Rai, attore, paroliere, Pippo Baudo se ne è andato all’età di 89 anni. Era nato a Militello in Val di Catania, alle pendici dell’Etna, il 7 giugno 1936. È stato attivo in tv per quasi sessant’anni, legando il suo nome a programmi di successo come Canzonissima, Fantastico, Varietà, Luna Park, Novecento.
E al Festival di Sanremo: mai nessuno come lui, tredici conduzioni. Un record. Lungo l’elenco, a questo proposito, dei tanti artisti, cantanti, attori e comici scoperti da Baudo: tra questi Al Bano, Barbara D’Urso, Loretta Goggi, Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Andrea Bocelli e Gigi D’Alessio. Dalla fucina di talenti che il suo «fiuto» ha indirettamente prodotto è nata la battuta con cui è stato spesso parodiato: «Questo l’ho inventato io!». Gli ultimi anni gli hanno riservato qualche dispiacere professionale: riteneva di avere ancora molte idee e non si sentiva valorizzato dalla «sua» azienda, la Rai.
Pippo è stato il conduttore per eccellenza, il presentatore che ha ideato la regia «sul campo», ultimo erede della grande tradizione del varietà. È stato lui a scandire il ritmo dei programmi mentre li metteva in scena, a suggerire gli stacchi, affrontando imperturbabile qualsiasi imprevisto. Infaticabile, ha interpretato come pochi il ruolo di talent scout di giovani promesse, più volte ha dimostrato di saper riempire i buchi del palinsesto. Ci sono stati momenti in cui la Rai ha retto lo scontro con Mediaset grazie al continuo impegno di Pippo.
La Rai aveva i magazzini vuoti e vuote erano le teste di alcuni centri decisionali: Pippo si è esposto, ha occupato tutti gli spazi possibili, forse troppi. Era un intrattenitore di facile presa, il massimo esponente dell’ideologia nazional-popolare (il più bell’elogio che gli potesse fare l’incauto ex presidente Enrico Manca), espressione di un mondo che conosceva il repertorio del teatro di rivista meglio della navigazione su Internet. Pippo era «uomo Rai». Quando nel 1987 abbandonò Viale Mazzini per passare in Fininvest riuscì a condurre un solo spettacolo, Festival. Non trovava in quegli studi «l’aria», era questa la sua espressione, che è la condizione necessaria per la riuscita di uno spettacolo.
Per circa dodici mesi scomparve dai teleschermi. Si aggirava nei pressi di Viale Mazzini come un cane bastonato. A qualche cronista confidò il suo avvilimento: «Come sta?» – gli chiese una volta Beniamino Placido. «Come vuole che stia? Male. Non ho un lavoro». Poi rinacque, perché riammesso a corte, e Angelo Guglielmi lo sdoganò alla grande con Uno su cento. Baudo ha simboleggiato nel mondo della tv quello che la Democrazia cristiana ha rappresentato in politica: amico di De Mita, amico di Andreotti, ma nemico di Cossiga (con cui si è scambiato una serie di epiteti ingiuriosi). Filippo Ceccarelli ne aveva fatto un ritratto non proprio lusinghiero: «Baudo è rimasto qui (e lì) a dimostrare che se l’esperienza storica della Democrazia cristiana si era definitivamente esaurita, non per questo avevano smesso di esistere i democristiani. Sopravvissuto eroico e patetico, campione di quel fascinoso orientamento sentimentale e cinico che forse solo in Alberto Sordi si era manifestato al massimo dell’immedesimazione che attira a sé la medietas, specie se opaca e alla portata di tutti».
In realtà, di Baudo, ne nasce uno ogni secolo, e quando muore la memoria s’inchina perplessa come dinanzi a un evento della storia che segna un prima e un poi. Baudo ha condotto i grandi varietà del sabato sera, ma il suo capolavoro resta Domenica in: in quei pomeriggi sei, sette milioni di persone restavano incollate al video, i discografici, i pubblicitari, i produttori lo imploravano per partecipare al suo programma, gli scrittori si presentavano con il libro sotto braccio per mendicare un passaggio e un sicuro posto in classifica. La tv aveva raggiunto la dismisura del suo potere.
Baudo era il nuovo che avanzava anche se stava sempre fermo (il famoso rinnovamento nella continuità); era una curiosa forma di eclettismo sociale, la capacità cioè di rivolgersi a tutti, di apparire interclassista, di promuovere l’innovazione e nello stesso tempo salvaguardare la tradizione. Sapeva occupare la scena e far ruotare attorno a sé gli ospiti. Era un tramonto che non tramontava mai. Poi, fatalmente, è sopraggiunta la sera dove non vale più la magica formula «Signore e signori buonasera!».