Monumento-fontana II di Aldo Rossi

by azione azione
22 Settembre 2025

Una mattina di fine estate camminando su via Manzoni, quando devo, volto lo sguardo nello slargo e lo affondo fino a pescare, ancora una volta, seminascosto, il grigio-rosato del marmo di Candoglia. Lo stesso del Duomo. Già solo per questa scelta, il cubo-scalinata progettato nel 1988 da Aldo Rossi (1931-1997), ormai nostro compagno di viaggio nella metropoli dura ma con il cuore in mano, meriterebbe rispetto. E invece, purtroppo. Perdipiù l’utilizzo del marmo di Candoglia, le cui cave vidi in vespa tempo fa – all’inizio della Val d’Ossola, in occasione di una visita all’olmo di Mergozzo – è una rarità-eccezione: una legge del 1927 ne sancisce l’uso esclusivo per il Duomo. Simbolo di Milano a dieci minuti neanche a piedi da qui e il cui modellino in legno campeggiava nello studio di Aldo Rossi in via Maddalena uno (sette minuti dal Duomo), dove, immortalato in alcuni scatti di Luigi Ghirri proprio nel periodo di quest’opera, si nota anche l’amore (condiviso) per l’azzurro carta da zucchero.

Avanzando sulla piazzetta-slargo, verso il monumento coperto in parte dalle fronde dei gelsi – elementi del progetto come nel cimitero di Rozzano – e per metà dai dehors invasivi dell’Emporio Armani, emerge meglio il rosino etereo del marmo. Tagliato in conci rettangolari di cinquanta centimetri per venticinque, la grazia timidissima del rosa dei nove gradini – alti un metro – che risalta tra le venature di varie sfumature di grigio, prende il sopravvento come sempre. Poi l’effetto rosa marmo di Candoglia svanisce e si torna nella realtà. Sul primo scalino, nonostante la puzza di piscio, sono sedute due vecchiette con vestiti a fiori. Le scale del monumento a Pertini – presidente socialista della Repubblica italiana dal 1978 al 1985, ex partigiano, al confino per anni sull’isola di Santo Stefano, Ponza, Ventotene, la cui immagine fissa, per me, è lui felice alla finale dei mondiali tra la folla del Bernabeu – guardano via Montenapoleone. Via dello shopping di lusso da dove qualcuno, ogni tanto, arriva stravolto con la moglie e figli, vestiti tutti come scemi spendendo un capitale, zavorrati di borse che appoggiano sulle scale del monumento a Pertini.

«Il pisciatoio Pertini» come lo chiamano alcuni milanesi, mi disse, durante una delle mie ricognizioni serali, una voce sul campo. Osteggiato sin dal principio – come emerge dalle parole di Aldo Rossi trovate tra I quaderni azzurri (1999): «È strano che io non riesca a comunicare la gioia del suo significato e sia invece inteso come opera fredda ecc. per non dire il peggio» – è stato persino oggetto di una petizione anni fa per rimuoverlo. Ma non perdiamoci in queste polemiche inutili, focalizziamo piuttosto l’attenzione sulla presenza delle scale che fa scattare l’assonanza con il monumento-fontana a Segrate visitato quindici giorni fa. E ventuno gradini c’erano anche per l’irrealizzato monumento alla Resistenza a Cuneo del 1962. Un elemento che contiene, va da sé, l’invito a vivere il monumento, farne parte, salirci sopra come faccio adesso. «L’attitudine al monumento abitato» come scrive Claudia Tinazzi in Aldo Rossi e Milano (2017). In cima, uno scempio, spazzatura, resti di un pasto, bottiglie vuote di birra sarda: forse un bivacco. Spero almeno sia un letto di fortuna per qualche barbone come si deve. Qui, come nel favoloso cubo con finestra-fessura che avrebbe incorniciato i campi di battaglia a cui era dedicato, c’è una feritoia dove guardare. Fronde d’albero, macchine, cartello della fermata Montenapoleone del metrò che tra l’altro è mecenate dell’opera inaugurata nel 1990.

Scendo per ammirare l’acqua sgorgare da un triangolo. Altro elemento-corrispondenza con Segrate. Il triangolo è innestato nel cubo di otto metri per lato tutto in marmo di Candoglia. E la luce settembrina, qui nel lato fontana, ne accarezza e accoglie il rosato lieve tipo alba. Oltre i gelsi, pensati dall’architetto-designer milanese perché scomparsi dal paesaggio, pure i lampioni, particolari, sono parte del progetto. In origine erano di un bel verde gioco poi Giorgio Armani, morto di recente e su tutte le prime pagine del mondo e a cui non è mai piaciuto il monumento-fontana II di Aldo Rossi, li ha fatti ridipingere in un grigio topo. Nel rosa marmo di Candoglia più tenue del rosa Tiepolo, ritrovo, un po’, per gli occhi, una via di fuga. E mi siedo sul primo gradino.