Al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto una collettiva mette in luce come la ceramica contemporanea svizzera sappia fondere memoria antica e linguaggi innovativi
La storia della ceramica affonda le sue radici nelle prime civiltà umane. Materiale semplice e duttile, l’argilla è stata uno dei primi elementi che hanno dato vita a oggetti di uso quotidiano nonché una delle più antiche forme di espressione artistica.
Dopo aver accompagnato per secoli e secoli le vicende dell’uomo, negli ultimi tempi la ceramica è stata spesso confinata nella sfera dell’utilità pratica piuttosto che includerla in un ambito prettamente creativo. Eppure negli ultimi anni essa sta vivendo una nuova primavera all’interno dell’universo dell’arte, diventando protagonista del mercato e di numerose mostre allestite in gallerie private e in spazi pubblici.
Il risveglio dell’interesse nei suoi confronti e della sua legittimazione come linguaggio artistico autonomo può essere ricondotto al bisogno di tangibilità, in contrapposizione all’inesorabile dilagare della produzione digitale e tecnologica. Proprio l’incontro tra questa tecnica ancestrale e le necessità del presente, dunque, ha dato origine a una dimensione espressiva in cui l’esperienza tattile riconquista il ruolo perduto nel nostro vivere quotidiano.
La ceramica è divenuta così una delle risposte umanistiche più significative per arginare l’invasione della virtualità, trasformandosi da pratica artigianale intrisa di un sapere tradizionale considerato desueto a medium privilegiato per numerosi artisti desiderosi di recuperarne l’arcaica valenza estetica opportunamente aggiornata alla temperie odierna. Non a caso uno degli storici dell’arte più stimati, il tedesco Hans Belting, scomparso due anni fa, aveva individuato nella fisicità dell’argilla una sorta di «resistenza ontologica» all’evanescenza del contemporaneo.

Simona Bellini, La luce della vita, 2022-2024 (Simona Sala)
A questa ricerca di concretezza si aggiunge anche la diffusa esigenza tra gli artisti di oggi di connettersi alla natura, instaurando con essa una profonda unione sensoriale. Il legame tra la ceramica e la madre terra è intrinseco e la conversione dell’argilla in una forma d’arte per mano dell’uomo racchiude la bellezza e la potenza di un contatto primordiale con il suolo che celebra il creato e le sue infinite potenzialità.
La ceramica contemporanea, in virtù della sua capacità di ricongiungere l’individuo alla materialità del mondo attraverso un atto trasformativo, reinventa così un’arte millenaria, mescolando pensiero e manualità, riprendendo gesti mai dimenticati che appartengono all’alba dell’umanità e plasmando nuove immagini che raccontano le nostre origini.
Quanto l’arte della ceramica sia un affascinante terreno di sperimentazione all’insegna del connubio tra storia e innovazione lo dimostra la rassegna allestita negli spazi del Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, un’esposizione pensata proprio per documentare la fertilità espressiva di questo medium che ben si presta a declinarsi in forme, tecniche e significati inediti.
La mostra è nata in collaborazione con swissceramics, Associazione Svizzera della Ceramica fondata nel 1959 con l’obiettivo di riunire i professionisti del mestiere provenienti da tutto il territorio elvetico, e accoglie i lavori di venticinque ceramiste e ceramisti selezionati da una giuria composta da cinque membri, tra cui il curatore della rassegna Hanspeter Dähler.
Lasciati liberi di esplorare i contenuti a loro più congeniali, gli artisti (per la maggioranza donne) hanno dato vita a opere ispirate ora alle fogge embrionali della ceramica ora alla figura umana o ai modelli dell’architettura, interpretando con un piglio vivido e perspicace non solo alcune delle questioni più stringenti dell’epoca contemporanea, come la sostenibilità ambientale, il consumismo e la relazione tra uomo e natura, ma anche tematiche riguardanti la valenza metaforica e la dimensione poetica degli oggetti, il legame fra realtà e simbolo, il portato della memoria e del ricordo, nonché le componenti specifiche del lessico artistico, come la materia, la forma, il colore e la superficie.
Tra i lavori che denotano una profonda riflessione sul nostro rapporto con la natura risulta interessante quello di Piera Buchli: esponendo le sue opere alla pioggia prima della cottura, l’artista ha lasciato che la loro superficie venisse plasmata dalla diversa intensità delle gocce, in un intreccio silenzioso ma intenso tra esecuzione scultorea e ambiente circostante. Emblematiche poi di un approccio al fare arte comune a tutti i ceramisti presenti in mostra, molto attenti alla riduzione dell’impatto umano sull’ecosistema, sono le creazioni di Sonia Décaillet, che ha realizzato alcuni recipienti utilizzando i resti di argilla, ingobbio e smalto accumulati per anni; residui, questi, che hanno dato vita a nuovi oggetti dall’impasto «impuro» carico però di memorie e di emozioni.
Pregna di lirismo e della potenza vivificante della luce è l’installazione di Simona Bellini, un inno alle meraviglie del creato e ai ritmi imperturbabili della natura, mentre intrisa di ironia nei confronti della società odierna è Copper bag di Maude Schneider, duplicato in ceramica di uno degli oggetti simbolo del consumismo sfrenato.
Fra le tendenze della ceramica contemporanea si scopre anche che permane ancora la tradizionale rappresentazione plastica di figure umane. È il caso di Doris Althaus, che nella sua opera dal titolo Storytelling effigia a tutto tondo due personaggi femminili racchiudendo mistero, sentimento e una certa austerità di stampo classicista.
Un altro tema, quello dei luoghi e degli spazi che fanno parte della nostra vita e che spesso sono indissolubilmente legati a ricordi ed esperienze, è trattato, tra gli altri, dai lavori di Lea Georg, le cui composizioni, ogni volta ricostruite in strutture sempre diverse, fanno riflettere sui paesaggi urbani in costante trasformazione. Attente invece agli elementi essenziali dell’opera d’arte sono le creazioni di Laurin Schaub, Angela Burkhardt-Guallini, Suzy Balkert e Margareta Daepp, tutte artiste che si muovono in ambito minimalista, assemblando le forme attraverso piccole unità, esplorando le tensioni tra equilibrio e dinamismo degli oggetti o giocando con figure e ornamenti elementari che danno origine a combinazioni dall’armonia dal sapore orientaleggiante.
In parallelo alla mostra collettiva, Ligornetto ospita una rassegna di Valentina Pini, artista ticinese che condivide con il gruppo di ceramisti l’assidua sperimentazione della materia, nel suo caso il silicone, la cera, i pigmenti e le sostanze organiche. Caratteristica della ricerca di Pini è difatti l’indagine della fisicità dei materiali, della loro dimensione simbolica e della loro attitudine alla trasformazione al fine di generare nuovi sensi e significati. Tra le fotografie, le sculture e le installazioni radunate per l’esposizione, l’opera dell’artista che più coinvolge lo spettatore e che più dialoga con la collezione del museo è Der Ritter, un video ispirato al monumentale modello in gesso di Vincenzo Vela che raffigura Carlo II, duca di Brunswick, eccentrico personaggio storico con l’ossessione per il potere e per l’immortalità.

Valentina Pini, Der Ritter, 2025 (Court. of the artist)
Pini si confronta con questa scultura realizzando un filmato che mostra una marionetta, esplicitamente riferita al duca e alla sua statua equestre, collocata su un cavallo stilizzato i cui movimenti rigidi sono accompagnati da una colonna sonora acustica che amplifica la scena farsesca: il fantoccio diventa così una caricatura delle ambizioni di dominio e di gloria imperitura, sollevando riflessioni sulla transitorietà, sulla memoria e sull’inconsistenza delle brame umane.