Alpinismo: cronaca di una scalata sul canale Angiolina con imprevisti, passaggi ghiacciati, racconti popolari e l’incontro con un alpinista avvolto nel mistero
La Grigna meridionale è una delle montagne più importanti delle Prealpi lombare. Sorge sopra Lecco, con i suoi 2184 m. s.l.m., tra la Vallassina e il lago di Como. Assieme a sua sorella più grande, la Grigna settentrionale, forma il famoso gruppo delle Grigne che, attraverso i numerosi social, continua ad affascinare la comunità alpinistica internazionale. Due montagne create dalla stessa mano, ma in netta opposizione tra loro.
Più bassa di 250 m, la Grignetta mostra una fisionomia dettagliata e tagliente, richiamando l’aspetto di un corallo morto di color grigio. Scolpendola con accuratezza, il tempo ha dato vita a un gotico mondo calcareo di torri, guglie e creste. Il suo inconfondibile appeal ha catturato l’attenzione di leggendari delinquenti di montagna quali Riccardo Cassin, Carlo Mauri o Walter Bonatti, guadagnandosi una reputazione di un’elegante, ma selettiva cortigiana delle Alpi. Un parco di divertimenti ideale in cui ogni alpinista trova la sua giostra preferita senza dover necessariamente ambire di arrivare in vetta.
I preparativi
Le numerose vie di salita si disperdono in gole, torrioni e pareti talvolta diramandosi nelle varianti più o meno complesse. Ho scelto di iniziare la mia stagione alpinistica proprio dalla «sagrada famiglia» di Lecco, optando per la via direttissima con la variante del canale Angiolina.
In compagnia di Matteo, un giovane militare italiano, ci ritroviamo al posteggio ai Piani dei Resinelli nei pressi di Ballabio. Mentre il GPS fa scoccare le tre di notte, ci consultiamo sul materiale di salita, rimuovendo così i ferri che non saranno necessari. A farne le spese sono i ramponi e la mia piccozza. Una grave imprudenza, considerando il fatto che stavamo per affrontare un canalone dopo tre giorni di intense nevicate. Circostanza non prevista a causa di un errore che mi trascinavo dal giorno precedente, quando, pianificando la scalata, avevo consultato i bollettini di montagna concentrati soprattutto sui versanti nord e privi di indicazioni sul canale Angiolina. Quel mio approccio superficiale alla pianificazione avrebbe avuto pesanti conseguenze sull’ordine di marcia, iniziato poco dopo le 3.00.
Dal bosco alla roccia
Muniti di fanalini, procediamo lungo uno scivoloso sentiero del bosco che ci conduce alla base della Grigna Meridionale, dove comincia la vera sfida di questa uscita notturna. Io e Matteo ci concentriamo sul rumore dei nostri scarponi che battono sul sentiero diventato sempre più roccioso e stretto.
La via direttissima non è tra le più difficili per chi ama le avventure sulla roccia. Classificato con un T4 (itinerario alpino impegnativo), richiede nozioni di arrampicata di scala I/II, mentre la via è attrezzata di catene e scalette di acciaio lungo i passaggi più esposti. Necessita tuttavia di un passo sicuro, il mantenimento di un baricentro basso e una testa che rifiuta le vertigini.
La mancanza di luce rende questo itinerario più piccante, ma non per forza molto più difficoltoso. L’unico pericolo consiste nel fatto che, trattandosi di un sentiero marcato in modo arbitrario, esiste la possibilità di deviare lungo traiettorie più appetitose ma letali.
La luce dei fanali ha il difetto di proiettare delle lunghe ombre sul campo visivo, di avere un’errata percezione di profondità e di alterare la comprensione del rilievo della roccia. Per affrontare i vari problemi che la montagna non risparmia mai a nessuno ci affidiamo all’esperienza, secondo il pericolo che ognuno di noi valuta in modo soggettivo. Io e il mio partner di arrampicata, discutiamo le nostre scelte prima di compiere qualsiasi manovra, per scegliere sempre una soluzione che ci sembra la più razionale, ma anche quella che ci permette di tornare indietro senza esporci a inutili rischi.
Su per il caminetto Pagani
Arrivati al caminetto Pagani, uno stretto cunicolo tra le pareti rocciose, cominciamo la nostra arrampicata che ci condurrà al Canale Angiolina. Molti anni or sono, secondo un racconto popolare, un giovane pastore si innamorò di una ragazza di un villaggio nemico. Passava attraverso questo caminetto per evitare di essere visto da occhi indiscreti. Una sera, sorpreso dal temporale, precipitò nel vuoto. Si dice che nelle notti nebbiose si possa ancora udire la sua voce chiamare l’amata tra gli anfratti del sentiero.
Mi godo questa roccia facile da addomesticare e piacevole al tatto. Ormai siamo nel cuore della montagna, nelle sue viscere regna il silenzio. A farsi sentire sono i frammenti di roccia che cedono sotto i nostri piedi per sparire nel precipizio. Il frastuono causato dai loro rimbalzi crea una suggestiva eco che si ripete tra i numerosi torrioni, torri e pilastri di roccia che ci circondano.
Il canale Angiolina
«Sbucati» dal caminetto, davanti a noi comincia il canale Angiolina che si presenta tutto innevato: è la parte più insidiosa del tracciato. Classificato come EEA (escursionisti esperti attrezzati), si sviluppa tra il sentiero della direttissima e il sentiero Cecilia, offrendo un percorso che alterna tratti di arrampicata su roccia e passaggi con catene fisse. Sono queste ultime che, riflettendo la luce dei nostri fanalini, ci aiutano a ritrovare la strada su un percorso completamente ricoperto di ghiaccio e neve in via di scioglimento.
Entrambi sprovvisti di ramponi e attrezzati di una sola piccozza avanziamo verso il sentiero Cecilia, posta sulla cresta che ci condurrà in vetta.
È lì, a poche centinaia di metri, ma per raggiungerla ci servirà tanta immaginazione e forza. Sfogliando la documentazione cartacea sulla Grigna Meridionale non ho trovato molte informazioni sul canale. In termini di pendenza presenta tratti variabili, ma non ho trovato dati sull’inclinazione massima.
Le informazioni sul rilievo che acquisisco costituiscono per me una sorta di GPS interno, un dettaglio che mi rende più sicuro. Con il senno di poi credo che dipenda dalla via di fuga del canale che si intraprende. Noi abbiamo scelto la via più ripida ma anche quella più decorata di rocce sulle quali possiamo riprendere il fiato.
Così a forza di pugni e calci ho scavato dei solchi sui quali saliamo con agio, mentre Matteo, munito della sola piccozza, assicura una mia eventuale scivolata a valle. È uno di quei momenti nei quali si cerca di dare ascolto alla parte ottimistica della ragione e di evitare di guardarsi alle spalle. Dopotutto non avremmo mai intrapreso la via del canale se la consistenza della neve non fosse stata ideale per un’avanzata senza i ferri del mestiere.
Le scalate in montagna sono un gioco di pressioni e attriti. Curando i due aspetti possiamo ridurre al minimo i rischi soggettivi e procedere con la necessaria sicurezza. All’uscita del canalone scatto una fotografia a Matteo. È molto mossa, ma rende l’idea della tensione che abbiamo provato nella parte superiore del tracciato. Nell’immagine, pur mostrando un tratto «camminabile», il mio giovane partner non si azzarda ad assumere una postura retta, tenendosi pronto per un eventuale frenata di emergenza. Probabilmente non aveva ancora assimilato quel frangente verticale lungo un centinaio di metri.
Il Nero della Grignetta
Alzo lo sguardo, e vedo un’alta sagoma nera che sta scendendo verso di noi a passo di corsa. È la prima anima che incontriamo da quando siamo partiti. Il ritmo e l’eleganza con cui supera gli speroni di roccia sono invidiabili. Uno spirito libero che non aspetta nemmeno l’alba, e di cui la somiglianza sembra calzare la leggenda dell’alpinista della Grignetta. Si tratterebbe di un giovane alpinista chiamato Nero per via del colore del suo abbigliamento: un cappuccio scuro, una giacca nera consumata dal tempo e gli scarponi logori. Vaga per la montagna in solitaria, muovendosi tra i canaloni e i torrioni con un’abilità sovrumana.
La gente del tempo lo intravedeva tra il tramonto e l’alba, quando nessuno osava a salire sulla montagna. Alcuni dicono che fosse stato un grande alpinista, scomparso qualche anno prima in un incidente invernale tra le guglie della Grignetta. Altri giurano che fu un giovane disperato fuggito dopo un amore finito male. I racconti popolari concordano sul fatto che Nero non sia più un uomo, ma un fantasma errante, condannato a scalare all’infinito le vie della montagna e, incapace di trovare riposo.
Lo si riconosce da lontano: una figura scura, snella che si arrampica su pareti impossibili senza corda, né paura. Quando lo si chiama non si volta. Quando lo si avvicina, scompare dietro un crestone. Molti alpinisti raccontano di averlo visto, soprattutto quelli che si avventurano di notte, come noi. Una presenza che nelle notti buie e senza luna, guida i delinquenti di montagna smarriti, indicando loro la via del ritorno con l’ausilio di una piccola lanterna.
Riprendendo il respiro dopo la scalata del canale Angiolina, io e Matteo di lanterne non ne vediamo. Di fronte a noi, a pochi passi di distanza, è il fanalino dello sconosciuto a illuminare i nostri volti. Ci ha osservato sin dall’entrata nel canale e adesso rimane immobile a fissarci negli occhi. «Dimenticate le vostre ansie. La neve del canale non si è mai staccata e, se vi sbrigate, riuscirete a raggiungere la vetta per godervi l’alba… io devo continuare», ci dice.
Resto lì a guardarli entrambi. Contemplo la corsa di Matteo per anticipare il sorgere del Sole e la falcata a valle dello sconosciuto che scompare pochi attimi dopo. Ed è subito alba…