Passione, fede, tifo, trasgressione

by Claudia
17 Giugno 2024

La curva del Servette ha vinto la sfida contro quella del Lugano, domenica 2 giugno. È per lo meno l’impressione visiva e auditiva. Ha vinto per compattezza. Direi quasi per abitudine. Cornaredo, nonostante gli eccellenti risultati del Lugano, è frequentato da una media di 3350 fedelissimi a partita. Al Wankdorf di Berna, per la terza finale consecutiva di Coppa Svizzera, c’erano 12’500 fans luganesi. Si sono sobbarcati una decina di ore di viaggio su treni che, per celerità, ci hanno riportato indietro nel tempo. Ginevrini compatti. Luganesi, frammentati. Inevitabilmente. Poiché l’amore per la maglia lo si costruisce sull’arco di anni.

Il percorso del Lugano di Mattia Croci-Torti e il nuovo stadio daranno un forte impulso. Il muro bianconero di Berna ha comunque raccontato una storia significativa, fatta di desiderio, passione, fede, tifo e trasgressione. Dal desiderio diffuso di tornare a giocare un ruolo importante nel calcio svizzero, alla passione per una maglia che piace molto anche ai ragazzini e che è tornata a essere oggetto di mercato. Dalla fede di chi, nella ritualità del calcio, mescola sacro e profano, al tifo di chi è disposto a immolarsi, alla trasgressione di chi vede nella grande festa del calcio, un’occasione per «sbracare». Persino per «sbroccare», quando si giunge a litigare tra sostenitori della stessa squadra.

Se il Lugano continuerà la sua meravigliosa scalata verso l’alto, le diverse anime dovranno tessere alleanze fra di loro, per sostenere i ragazzi con più compattezza. Nel calcio contano tecnica, tattica, fisico, mente, ma, ne sono convinto, anche l’apporto del cosiddetto dodicesimo uomo gioca un ruolo importante. Non a caso, sono i giocatori stessi, ad arringare la curva nei momenti topici della partita.

Il viaggio in treno è l’emblema di questa diversità di approccio al tifo e alla partita. Ore sei e trenta. Il secondo convoglio per Berna è pronto a partire. Alcuni ragazzi di un sedicente Commando Alcolico raggiungono a bordo i loro compagni. Caricano anche un carrello da supermercato stracolmo di bevande di ogni genere. Non vedo né gazzosa, né acqua minerale. Alla sei e trentuno saltano i primi tappi. Partono i primi canti, accompagnati da un poderoso tambureggiare sul soffitto e sulle lampade del vagone. Con altre sette persone mi trovo a fungere da spartiacque tra loro e un altro gruppo di sostenitori che, a occhio, hanno qualche anno in più. Non hanno il carrello. Ma una piscina di plastica dove tenere in fresco i preziosi liquidi. Da un lato percepisco l’irruenza giovanile, figlia magari di frustrazioni vissute a scuola o sul posto di lavoro. Si trasforma in vigore, adrenalina, voglia e tentazione di spaccare tutto. Basta però che si affacci alla porta scorrevole un signore con l’uniforme e la cravatta rossa delle FFS, per renderli mansueti, almeno per un attimo. In più occasioni richiamano i colleghi meno giovani a condividere canti e slogan. Invano. La diversità fra i due gruppi si manifesta anche nella gestione alimentare. I teenagers asciugano l’alcol con delle semplici patatine chips. Gli altri con delle succulente fette di pane ricoperte da una «tartare» che mette appetito.

Su quella carrozza viaggiava anche il difensore in pensione René Morf, tranquillamente seduto con degli amici. Nessuno che gli abbia chiesto un selfie. Non hanno riconosciuto uno degli eroi della finale del 1993 vinta dal Lugano sul Grasshopper? Mi viene da pensare che la memoria storica debba essere conservata. E, dove ci sono delle lacune, vada ricostruita. Partendo proprio dalle nuove generazioni. Vale nel calcio, come nelle altre manifestazioni dell’esistenza.

Al ritorno, con un mood comprensibilmente mesto, ci ritroviamo attorniati da un’altra cellula della tifoseria bianconera. Sono colleghi di lavoro. Mediamente attorno ai quaranta. Commentano senza acredine l’errore colossale dell’arbitro. Esprimono la loro solidarietà nei confronti di capitan Sabbatini, che avrebbe meritato di essere il principe di una favola meravigliosa. Per il resto ridono, chiacchierano. Alcuni di loro dovranno alzarsi alle sei. Un paio d’ore più tardi rispetto a quel giorno. Lo faranno per andare al lavoro, non per bearsi della grande festa del calcio nazionale. E anche questa è passione pura. Direi quasi poesia.