Marlies Slegers, 16 lettere per Lucas, Il Castoro (Da 11 anni)
«Ciao, Lucas. Sono le prime parole che mi scrive mio padre, che è morto. È il biglietto con sopra il numero 1. La gente muore e mio padre non fa eccezione. È morto un anno fa». Questo è l’incipit. Un incipit che ci fa capire molte cose di questo romanzo. Ossia: che è un romanzo che non usa giri di parole, va dritto al punto con sfrontata tenerezza. Che è scritto in prima persona da Lucas. Che a Lucas il papà ha lasciato dei biglietti, numerati, da leggere in progressione. Praticamente abbiamo già tutti gli elementi che fondano questa storia, ai quali si aggiungeranno ovviamente altri personaggi, tutti essenziali nella gamma di relazioni che li legano, ciascuno per la propria parte, al protagonista. In primis Liesbet, la mamma di Lucas, che da un anno ha smesso di ridere, si è lasciata crescere ciocche grigie tra i capelli, ha spesso lo sguardo nel vuoto. Poi Eva, l’amica del cuore di Lucas, e il suo ragazzo, Karl, il villain, il bullo della situazione. C’è Bloom, una ragazza più grande di Lucas, già quasi donna, la cui sbrigativa saggezza sarà spesso a Lucas di conforto. C’è Henderson, un professore di Lucas, che sembra attratto da Liesbet, e questo mette in allarme il ragazzo. Ma la vera figura paterna, che certo non sostituisce il papà, la cui presenza Lucas custodirà sempre nel cuore, ma che almeno darà speranza di essere «quasi come se fossimo una famiglia», è Jack, titolare di un negozio di ferramenta, un brav’uomo che conosce la mamma perché viene a fare dei lavori in casa, e che saprà, con rispetto e amore, dare onorevolmente un senso al vuoto lasciato dal papà. Poi c’è un’altra figura maschile, importante, che si paleserà a Lucas più avanti nel romanzo, e che darà «radici» a quello che è il suo percorso di formazione. Sì, perché questo bel romanzo dell’autrice olandese Marlies Slegers, pubblicato con il sostegno della Fondazione olandese per la letteratura, venendo ad aggiungere un tassello alla sempre più evidente qualità dell’editoria per l’infanzia dei Paesi Bassi, non racconta solo la rielaborazione di un lutto, ma racconta proprio un percorso di crescita, al maschile, di un bambino che diventa uomo. O almeno che si mette con coraggio sulla strada per diventarlo. Così, quel bimbo che per gestire il dilagare inconsulto e incontrollabile delle emozioni si appiglia a dati e numeri («una persona adulta attorno ai 75 chili è composta da oltre 60 trilioni di cellule»; «conosco a memoria le prime trentuno cifre del pi greco…»; «la locusta del deserto riesce a sorvolare anche il Mar Rosso – che misura 300 chilometri – senza mai fermarsi…»), riuscirà finalmente a lasciare un po’ la presa e a ritrovare fiducia nella vita. E, proprio come Telemaco (ruolo che avrebbe dovuto impersonare nella recita scolastica), riuscirà a ritrovare il padre, anche se non più in una forma visibile, ma almeno in una forma pacificata. La quale, pur nell’invisibilità dell’Altrove, resterà con lui come presenza di amore per sempre.
Cristina Petit, Un bacino per me, Pulce Edizioni (Da 12 mesi)
Per i bambini piccoli i personaggi ritratti nei libri sono i personaggi stessi, non la loro rappresentazione. Hanno uno statuto ontologico, una vita propria. Chi ha frequentazioni di bimbi e libri avrà notato che i bimbi entrano in relazione anche fisica, ad esempio attraverso i baci, con i personaggi che li commuovono, magari con quelli più sfavoriti nella storia. Dare un bacino all’anatroccolo triste, per consolarlo, vuol dire far esistere quell’anatroccolo, non vederlo solo come rappresentazione di un anatroccolo.
Su questo fa leva il semplicissimo libretto di Cristina Petit Un bacino per me, che invita i piccoli lettori a dare un bacino ai vari personaggi. Anzi sono gli stessi personaggi che chiamano in causa i bambini: «Ho male al pancino, mi dai un bacino? Mi hai trovato a nascondino, e adesso me lo dai un bacino? Mentre faccio un sonnellino me lo dai un bacino?». Un cartonato da coccolare.
