TikTok: termini d’uso e policy privacy

by Claudia
16 Ottobre 2023

«Sono su TikTok!», scandisce Clotilde, la mia 15enne, quando chiedo «Che cosa stai facendo?», domanda che persevero a rivolgerle nonostante la risposta sia scontata. Sono consapevole di essere come genitore in ottima compagnia. È il motivo per cui avere sempre più informazioni su come funziona il social prediletto dagli Gen Z è per me ormai un chiodo fisso anche nel mio mestiere di giornalista. Di solito questa rubrica ha l’obiettivo di aiutarci a capire il linguaggio degli adolescenti per cercare di decifrare meglio anche i loro pensieri. Stavolta, invece, vorrei che fosse utile per integrare Le parole dei figli con qualche spiegazione dettagliata da parte di noi mamme e papà su come i social siano in grado di leggerci nel pensiero. Un meccanismo che i giovanissimi spesso non conoscono nonostante l’uso assiduo della piattaforma.

Con Il caffè delle mamme abbiamo seguito il social network che oggi conta 1,2 miliardi di utenti unici al mese a livello globale (di cui il 25% con un’età compresa tra i 10 e i 19 anni) fin da quando ancora si chiamava Musical.ly e i due giovani imprenditori cinesi Alex Zhu e Luyu Yang hanno portato milioni di adolescenti a muovere le labbra a ritmo di musica e ballare gesticolando.

Dopo l’acquisto dell’agosto 2017 di Musical.ly da parte della cinese ByteDance, abbiamo capito che l’app più amata dagli adolescenti è diventata ormai uno dei loro canali preferiti di informazione sull’attualità. Di qui l’esigenza di metterli in guardia dalle fake news, rilanciando gli allarmi di società indipendenti come NewsGuard che studiano l’affidabilità delle fonti di notizie: spesso il popolare social offre, infatti, ai nostri figli informazioni false e fuorvianti. Adesso facciamoli riflettere sulle condizioni che loro accettano quando creano un account TikTok e spuntano il consenso sui termini d’uso e la policy privacy, che mai nessuno legge. Con i termini d’uso le condizioni principali che vengono accettate sono due, spiegate così da TikTok: 1) «Non devi pagare per l’uso della nostra Piattaforma, ma, in cambio, veniamo pagati da terzi affinché ti possano pubblicizzare o vendere prodotti»; 2) «Quando pubblichi un contenuto sulla Piattaforma (…) altri utenti potranno a loro volta utilizzarlo. Laddove tu decida di rimuoverlo successivamente, copie dello stesso realizzate da altri utenti potranno comunque essere visualizzate sulla Piattaforma». Con l’informativa sulla privacy invece autorizziamo TikTok a raccogliere tutti i contenuti creati: fotografie, video, registrazioni audio, livestream, commenti, hashtag, feedback, revisioni, nonché i relativi metadati (fra cui, quando, dove e da chi è stato creato il contenuto). I testi dei messaggi e i relativi metadati (l’ora in cui il messaggio è stato inviato, ricevuto e/o letto, nonché i partecipanti alla comunicazione). Informazioni sugli acquisti. Ritmi di battitura. Localizzazione. Interessi.

A questo punto è bene che i Gen Z siano consapevoli delle conseguenze. Per testarle sul campo a Dataroom del «Corriere della Sera» abbiamo fatto un esperimento con l’aiuto degli esperti informatici di Swascan di Pierguido Iezzi, e di Andrea Rossetti dell’università Bicocca e Stefano Rossetti di Noyb, il centro europeo con sede a Vienna sui diritti digitali. Tre i risultati principali. Uno: in base all’indirizzo Ip che indica il wi-fi a cui io sono collegata, chi è vicino a me e collegato alla stessa rete riceve pubblicità su Instagram di quello che interessa a me su TikTok. Due: basta una ricerca su Google per fare comparire su TikTok la pubblicità di quello che abbiamo googlato. Tre: basta una ricerca su TikTok che possa farti individuare come possibile gamer per farti comparire sulla piattaforma la pubblicità di una società di videogiochi, la VGP, che ti spinge a giocare sempre di più. Il motivo è che, noi non lo vediamo, ma ogni volta che utilizziamo TikTok, come qualsiasi altro social, si generano migliaia di file di testo con tutte le informazioni di cui sopra che confluiscono in mega server per poi finire alle società di profilazione, che li smistano per farti diventare una «categoria» e usarti poi a loro piacimento per proporti pubblicità, ma anche per sapere per esempio a un colloquio di lavoro i tuoi punti deboli.