Il cromlech di La Praz

by Claudia
9 Ottobre 2023

Abbastanza una rarità, in Svizzera, i cromlech. L’unico gruppo di pietre poste in circolo nella notte dei tempi, segnato sulla carta topografica nazionale con questo termine di origine bretone, si trova in mezzo a un bosco del Giura vodese. Scoperto nel 1871 da Paul Vionnet (1830-1914), pastore protestante appassionato di fotografia, il monumento megalitico di cui vado in cerca ora partendo a piedi da Romainmôtier, viene catturato attraverso una foto stampata su carta albuminata. Guardando bene questa foto, tra le pagine di Les monuments préhistoriques de la Suisse occidentale et de la Savoie (1872) dove Vionnet repertoria altri trentatré megaliti, si vede anche, nella radura, mimetizzato, una figura seduta a mani incrociate su uno degli enigmatici massi muschiati. Non è un elfo né un fantasma come sembra, ma un uomo elegante che appare, a malapena, con lo scopo di donare una scala di grandezza al cromlech, sul cui sfondo si stagliano chiome di querce. L’uomo quasi invisibile seduto con il cappello sulle ventitré, immortalato su uno dei blocchi erratici misteriosamente riposizionati, dovrebbe essere Benjamin Dumur (1838-1915), avvocato e storico che accompagnava Vionnet nei suoi giri. Tra campi, prati, boschi – senza passare dal paesino di centosessantotto anime la cui curiosa omonimia con l’anglista Mario Praz è la prima cosa che mi è venuta in mente e sul cui territorio, si trova, il cromlech – dopo un’ora abbondante entro adesso nel bosco conclusivo. Querce, faggi, conifere, cespugli di biancospino ricolmi di bacche cardiotoniche.

E così, sul sentiero, di primo pomeriggio ai primi di un ottobre più che tiepido, m’imbatto nel cromlech di La Praz (772 m): otto massi erratici, ricoperti in parte minore da muschi, vicino ai quali ci sono i resti di un fuoco. Il masso che colpisce subito lo sguardo è quello un po’ trapezoidale, costellato da circa centosettanta coppelle e vari rigagnoli incisi. Un cloritoscisto magnetico con un incavo dove mi accovaccio a meraviglia per un agile picnic. Sandwich al volo con pumpernickel imbottiti di salmone, crema di rafano, spruzzo di limone. Dopo pranzo salto giù, indietreggio: da una certa distanza si vedono meglio i rigagnoli, alcuni mi sembrano, di colpo, autentici petroglifi. Le braccia a penzoloni di figure stilizzate al massimo, esseri un po’ fatati o strafatti di Amanita muscaria. Un disegno preciso è stato fatto da Jean-Christian Spahni (1923-1992), venticinquenne archeologo e futuro etnologo tra discendenti maya, pubblicato a corredo della sua descrizione intitolata proprio Le cromlech de La Praz (1948), sul trentanovesimo «Jahrbuch der Schweizerischen Gesellschaft für Urgeschichte». Lì, le coppelle e rivoli scolpiti, mi sembrano molto spore germinate in ife. Inoltre c’è un piano d’insieme più fedele di quello di Vionnet che però aveva il pregio, benché imperfetto, di ricordare un arcipelago. «Non ricrea la forma di un cerchio ma piuttosto un pentagono irregolare» scrive l’autore di Itinéraire sud-américain (1968). E infatti, aggirandomi tra i blocchi di scisto cloritico, quarzite, eclogite, mi rendo conto con i miei occhi che la disposizione non è per niente circolare, forse però il percorso potrebbe pure riguardare qualcosa di ovale, legato magari all’energia ctonia. Mah, chissà, mistero.

Sul significato dell’orientamento, riti, fasi lunari, equinozio, altari, sacrifici, celti, geobiologia, bovis, blablabla, possiamo stare qui fino a domani senza venirne a capo. Comunque, esplorando, qui vicino, tra altri massi muschiati del tutto e una specie di recinto di sassi, c’è di sicuro un bosco sacro di sole querce. E se un masso è ideale per il picnic, uno è perfetto per la siesta. Mentre individuo quello per sedersi e credo sia quello dove sulla foto è ritratto l’amico di Vionnier. Vari verdastri argentei si ammirano, osservando da vicinissimo, questi massi erratici riuniti a cui do amichevoli pacche. Mica di certo Stonehenge dove non sono mai stato o i menhir di Carnac visitati secoli fa durante un viaggio interrail con un amico perso di vista, ma «il loro insieme, nel mezzo del bosco, è molto imponente» scrive ancora Spahni. Il quale, nella sua vita erratica, si è occupato anche di paleontologia a Vienna, arte rupestre a Granada, musica folk andalusa, disotterrare oggetti precolombiani nel deserto di Atacama.