Cammino tra campi di granoturco quasi pronti per la raccolta e campi di girasoli al tramonto. Azzurrino vago del Salève da una parte, il Giura dall’altra, nuvole fiamminghe all’orizzonte. Antichi muriccioli stile campagna inglese corrono attraverso questo paesaggio straniante fuori Ginevra, al confine con la Francia. Stamattina alle dieci ho un appuntamento con un ah-ah: l’unico in Svizzera. Il termine ah-ah appare per la prima volta nel 1709 in La théorie e la pratique du jardinage (1709) di Antoine-Joseph Dezallier d’Argenville: esclamazione di divertimento nello scoprire questa elegante separazione invisibile da lontano. Un canale, come in questo caso – o spesso anche solo un muro nascosto – che separa il giardino dal paesaggio e si vede solo all’ultimo momento. «Un canale visibile solo quando ci si avvicina, molto apprezzato nel giardino paesaggistico inglese» trovo scritto da Anette Freytag in Les jardins de La Gara (2018): trecentottanta pagine per ritrarre, a regola d’arte, questa particolarissima tenuta menzionata già nel 1555. Dove, alla pagina centocinquantaquattro, scopro, oltre al piacere estetico provocato da questa separazione dissimulata in modo da non disturbare la vista sul paesaggio, il punto di vista funzionale: serve a non far entrare in giardino pecore, volpi, vacche, caprioli, eccetera.
«Invalicabile» mi dice Rémy Best come seconda regola di un vero ah-ah. Camicia bianca, pantaloncini corti di velluto verde peter pan e mocassino color sabbia, dal 2000 abita in questa storica ferme ornée restaurata dalla moglie Verena Best-Mast. E mi accompagna a vederlo in compagnia di Sam-Sam, un cocker spaniel inglese che ci trotterella a fianco, l’ah-ah restaurato nel 2012 grazie al Fondo svizzero per il paesaggio. Risalente al 1750, quando qui abitava la famiglia Thellusson, dal prato davanti alla casa, il confine-gioco tra arte dei giardini e vita rurale, non si vede ancora. Incontriamo, intanto, sul tragitto, il viola scapigliato della verbena di Buenos Aires. Dopo una ventina di passi nell’erba, eccolo nella luce di un mattino di settembre, l’ah-ah (426 m), magnifico, della Gara a Jussy. Alimentato da una sorgente, lungo ventisei metri e largo tre metri virgola due, alle estremità ci sono due belvedere che accentuano l’eccezionalità ornamentale di questa demarcazione acquea illusionistica. Il prato, lì, s’impenna in due rampe, sostenute da mura a secco coronate da quattro vasi-urne a motivo chiave greca. Al centro, un bacino circolare ricorda, per un attimo, qualcosa di una serratura antica. Cinto da un lato da un parapetto a semicerchio, interrotto all’altezza delle scale che scendono teatrali nell’acqua del favoloso fossato.
Sam-Sam entra nell’ah-ah: «È la sua piscina» mi dice il signor Best. «Una volta è caduto dentro un cavallo» mi racconta. Mentre una sera, a una festa con tutta la compagnia di balletto del Grand Théâtre di Ginevra, è partita una sfida. Chi supera l’ah-ha riceverà una quantità di vino pari al suo peso. In un balzo da lago dei cigni, due ballerini vincono la gara. Del resto, per uno neanche bravo la metà di Carl Lewis, è un salto da ridere. Agguanto, con lo sguardo, le ninfee. Querce centenarie punteggiano il paesaggio distensivo di queste parti, ancora campi di granoturco, un cavallo bruca. Mentre nel giardino, si è rapiti dall’arte topiaria asimmetrica di una armata di Taxus baccata simili a giganti verdi potati come diamanti, opera dell’architetto paesaggista belga Erik Dhont, autore anche, in parte, del labirinto. L’entrata è in asse con quattro gradini che scendono in un altro canale sud-est. Sul ciglio del labirinto, ideato nel 2015 dall’artista bernese Markus Raetz (1941-2020) partendo dal famoso palindromo latino In girum imus nocte et consumimur igni, è inciso eye.
Giro nel labirinto-palindromo, le cui serpeggianti siepi disorientanti sono un mélange di undici specie, tra le quali ligustro, bosso, agrifoglio giapponese. E mi perdo. Trovo il tavolino rotondo al centro, le cui siepi attorno, a volo d’uccello, formano una serratura; poi, subito dopo, lo specchio. Ma non la chiave mentale per uscire da qui, senza consultare la mappa. Uscendo, sul gradino, le tre lettere-occhio, diventano, per via dei caratteri utilizzati, aha. Mi viene in mente un gruppo norvegese anni Ottanta sparito: gli a-ha.